In Liberia segnale forte contro la corruzione ma incombe il rischio del trasferimento di potere

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«Questo è il momento di riconoscere la sconfitta. È tempo di mettere il nostro paese al di sopra della politica e il patriottismo davanti all’interesse personale. Rimango vostro presidente fino al passaggio di potere e continuerò a lavorare per il bene della Liberia. “Guariamo” le divisioni e uniamoci come una Nazione e un popolo coesi».

Le parole del presidente uscente George Manneh Weah, pronunciate in un accorato discorso venerdì notte ancor prima che l’esito del ballottaggio sia definitivo (L ’ultimo dato fornito dalla Commissione elettorale nazionale (NEC) è relativo al 98,56% dei voti scrutinati, in base ai quali Boakai ha il 50,89% delle preferenze, contro il 49,11% di Weah) sono arrivate inaspettate.

Riconoscere la vittoria del contendente, l’ex vicepresidente Joseph Boakai, è sembrato più un atto per pacificare gli animi, dopo una campagna elettorale estremamente dura e complessa, piuttosto che l’ammissione di una sconfitta.

“Stasera, mentre riconosciamo i risultati, attestiamo che il vero vincitore di queste elezioni è il popolo della Liberia. Attraverso il tuo esercizio pacifico e ordinato del diritto costituzionale di voto, ha dimostrato ancora una volta il suo impegno per i principi democratici che ci legano insieme come nazione”.

Insomma, il presidente Weah si è attestato lo svolgimento pacifico delle presidenziali 2023 sotto la sua guida.

«Il voto è stato organizzato con la promessa di equità, pace, inclusività, trasparenza e credibilità. Sono orgoglioso di dire che abbiamo mantenuto questa impegno. Il popolo liberiano ha parlato e abbiamo sentito la sua voce”.

Quello che il capo di Stato uscente della Liberia non può riconoscere è che gli elettori hanno voluto inviare un messaggio chiaro all’establishment politico.

Corrotti e ingovernabili non possono avere spazio. Se un governo non riesce a dirigersi verso un percorso di responsabilità e trasparenza, deve andare a casa.

E quando un paese per il quale il presidente in carica aveva assicurato nelle sue campagne elettorali “tolleranza zero verso i disonesti” si ferma al 142esimo posto su 180 Stati nell’index dei paesi “corruption free”, qualcosa non  deve essere andata chiaramente per il verso giusto.

Weah aveva promesso di contrastare la corruzione endemica nel Paese ma le sue azioni hanno dimostrato il contrario.

Tra i “misfatti” più gravi, la regia che gli viene imputata di uno scandalo nel 2018, quando dalla banca centrale della Liberia sono spariti 100 milioni di dollari in banconote appena stampate. L’accusa dell’opposizione fu di “uso improprio di fondi pubblici” all’interno dell’amministrazione di Weah.

Nel 2022, inoltre, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a tre funzionari governativi liberiani, tra cui il capo dello staff di Weah, per “il loro continuo coinvolgimento nella corruzione pubblica”.

L’elemento che ha esasperato ulteriormente la popolazione, a fronte delle prove del marciume  nel governo,  è stato il progressivo declino economico del Paese, dove la maggior parte dei liberiani vive in povertà assoluta.

L’Organizzazione della società civile liberiana “Naymote Partners for Democratic Development” ha rilevato poco prima delle elezioni che il presidente liberiano aveva mantenuto soltanto 24 delle 292 promesse elettorali fatte nella precedente campagna elettorale.

Weah è stato anche al centro di un’altra bufera: un’inchiesta per il disboscamento della foresta pluviale più grande della regione.

L’indagine ha infatti rilevato operazioni illegali “su larga scala significativa”, tra cui atti falsi e violazioni della legge da parte dell’Agenzia governativa liberiana incaricata di proteggere le aree verdi del Paese.

Nonostante il report finale dell’inchiesta avesse “raccomandato” di predisporre un’indagine speciale su quanto avvenuto al presidente Weah, quest’ultimo ha del tutto ignorato le indicazioni degli ispettori e rispediti al mittente gli appelli degli ambasciatori dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Regno Unito a fare chiarezza sulla vicenda.

Insomma, l’ex calciatore divenuto leader politico non ha mai accettato intromissioni nella gestione del potere e ha fatto di tutto per trattenere lo a se con ogni mezzo, lecito o meno.

Ed è per questo che il “miracolo” di un passaggio di presidenza senza conseguenze, come quello tra la presidente Ellen Johnson-Sirleaf a Weah nel gennaio 2017, una pietra miliare che segnò per la prima volta dal 1944 un trasferimento pacifico di potere, il primo in 73 anni, potrebbe non ripetersi anche se la mossa a sorpresa di Weah di chiamare  Boakai e riconoscere la sua vittoria ha destato stupore.

Nelle prossime ore sarà chiaro se l’annunciato “rispetto per il processo democratico che ha deciso la Liberia” sarà garantito fino in fondo.


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