Decreto flussi insufficiente: per coprire il fabbisogno servono 23 mila quote l’anno contro le 9.500 autorizzate. La stima è del report Family (Net)Work di Assindatcolf, Censis e Centro Studi e Ricerche Idos. E intanto ci si interroga sugli aspetti sociali del fenomeno accoglienza e sul necessario salto di paradigmi culturali che va fatto in Italia.
Lunedì 4 dicembre parte il click day per il lavoro domestico, il primo dopo 11 anni. Il Dpcm in materia di programmazione di flussi di ingresso destina 9.500 quote nel 2023 ai lavoratori non comunitari da impiegarsi nel settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria: una presenza non sufficiente a coprire il fabbisogno aggiuntivo delle famiglie, pari a circa 23mila unità l’anno. È questa la previsione contenuta nell’edizione 2023 del Rapporto “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, il nuovo progetto editoriale di Assindatcolf, prodotto in collaborazione con il Censis, Effe, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ed il Centro Studi e Ricerche Idos. Nel Rapporto, presentato oggi a Roma a palazzo Rospigliosi, si stima infatti, che per coprire il fabbisogno aggiuntivo di manodopera straniera in Italia servano fino a 23mila lavoratori non comunitari l’anno da assumere nei ruoli di colf, badanti e baby sitter, circa 68mila nel triennio 2023-2025, contro le 28.500 unità effettivamente autorizzate nello stesso periodo.
Nel Rapporto 2023 viene tracciato un ‘identikit’ del collaboratore familiare, che è donna (86,4%), di origine straniera (69,5%) e di età medio alta. Il 55,6% dei lavoratori domestici ha infatti più di 50 anni, il 21,4% supera la soglia dei 60 anni di età e solo il 19,3% ha un’età inferiore ai 40 anni. L’età media delle badanti tende ad essere spostata più verso l’alto, rispetto a colf e baby-sitter: il 35,5% delle prime (contro il 32,9% delle colf) ha infatti tra i 50 e 59 anni, mentre il 26,7% (contro il 16,4% delle seconde) ha più di 60 anni. Complessivamente la quota di badanti regolari che ha superato i 50 anni è del 62,2%, mentre tra colf e baby-sitter la percentuale è del 49,3%. La gran parte dei collaboratori proviene dall’Est Europa: paesi come Romania, Ucraina, Moldavia, Albania contribuiscono a circa la metà (51%) dell’occupazione domestica italiana. A seguire, circa il 14% dei lavoratori è originario dell’America Centro Meridionale, il 14% viene da paesi Asiatici, ad esclusione delle Filippine da dove arriva il 10,6% dei collaboratori mentre dall’Africa arriva il 9,6%. Guardando alle aree geografiche in riferimento all’età dei collaboratori domestici si scopre che quelli provenienti dall’Europa dell’Est presentano un’età media molto elevata: il 35,4% ha tra i 50 e 59 anni, il 28,3% più di 60 anni, per un totale del 63,7% con più di 50 anni. Tra le altre nazionalità l’età tende invece a essere più bassa, segno del ricambio in atto negli stessi bacini di reclutamento del lavoro domestico. Tra i collaboratori provenienti dai paesi africani il 41,7% ha meno di 40 anni e la quota di over 60 è molto bassa (6,8%). Presentano un profilo giovane anche i lavoratori asiatici: il 33,7% ha meno di 40 anni, il 29,1% tra i 40 e 49 anni e il 37,2% più di 50 anni ma ed esclusione dei filippini, dove la quota di over 50 è più elevata, arrivando al 54,4%.
“Il tema dell’innalzamento dell’età dei lavoratori domestici rappresenta oggi una delle maggiori criticità” dichiara il presidente di Assindatcolf, Andrea Zini. “L’imminente uscita dal mercato del lavoro di molti collaboratori, – prosegue – a fronte di un ricambio che resta limitato e non sufficiente a colmare il fabbisogno, è destinato ad accrescere le difficoltà che le famiglie già incontrano nel reclutamento del personale destinato all’assistenza in casa. Per questo motivo la programmazione dei flussi diventa uno strumento fondamentale a cui, però, servono dei correttivi. Non solo allargando le quote e ridefinendo il meccanismo della chiamata, ma anche nella messa a punto delle procedure, oggi troppo articolate per essere gestite dalle famiglie”.
“Il gap da colmare tra ingressi concessi e ingressi che servirebbero al comparto domestico, secondo quanto annunciato dalla premier, si colmerebbe agevolmente con gli ingressi irregolari già presenti sul territorio italiano. Non si comprende tuttavia come questi potenziali lavoratori possano dimostrare il proprio livello di professionalizzazione senza essere regolarizzati in tempi brevi anziché essere detenuti nei CPR e come possano d’altro canto formarsi senza un investimento in tal senso” dichiara Luca Di Sciullo presidente di Idos e, in quanto alla possibilità di accedere regolarmente in virtù del decreto flussi attraverso piattaforma online il 4 dicembre, aggiunge: “Un modo di istituzionalizzare un sistema irrisorio di persone bisognose di lavoro. Il click day è una vergogna”.
A questo proposito interviene Stefania Congia, direttrice generale Dg Immigrazione del Ministero del Lavoro: “Occorre un cambio di visione; un Paese che incentiva il lavoro, incentiva anche la natalità. Serve un welfare pensato appositamente per la cura, essenza della famiglia. Il lavoro materiale non è di serie B, pretende diritti e dignità, in quanto contributo fondamentale al sistema Paese che non può e non deve reggersi su meccanismi paraschiavistici. Il click day è un mezzo discusso e discutibile. Il sistema è complesso e il testo del decreto flussi è frutto di una sovrapposizione di interventi non ordinati. Mettere mano al testo è una sfida di natura politica non semplice. Occorre molto coraggio: su questi temi si perdono o si vincono le elezioni”.
In effetti, incredibile a dirsi ma quella contenuta nel Decreto Flussi ad oggi è l’unica vera novità che riguarda il lavoro domestico, poiché nessuna altra misura di sostegno è stata prevista nei recenti provvedimenti approvati da Governo e Parlamento, a cominciare dalla Legge di Bilancio, che non affronta le grandi problematiche di cui il comparto soffre, come il lavoro sommerso e le difficoltà economiche delle famiglie a sostenere il costo del personale.
Eppure la questione non è solo economica se pensiamo ai nodi sociali irrisolti del Paese come la disoccupazione femminile, il processo di denatalità, il divario di genere, l’ accoglienza e l’ inclusione dei lavoratori stranieri come vero e proprio investimento sociale del sistema di welfare. Per promuovere un cambiamento di logica occorre davvero un salto culturale promosso da politiche lungimiranti e attive. È quanto auspicato nell’ incontro dialogico di associazioni, ONG, istituzioni locali e parti sociali voluto al Nazareno da Elly Schein e coordinato dalla dinamica Marta Bonafoni: a partire dai variegati interventi tra cui Gianfranco Schiavone di Asgi, Flavia Musicco di Refugees Welcome, Giulia Capitani di Oxfam, Giorgia Linardi di Sea Watch, la voce è davvero univoca: urgente affrontare i flussi migratori come strutturali e non emergenziali e soprattutto garantire accoglienza, integrazione e inclusione, verso un percorso reale di cittadinanza. E che sia attiva e partecipata da tutte e tutti gli studenti e i lavoratori con un trascorso migrante, che siano a tutti gli effetti italiane e italiane già di oggi. E del futuro.