Fino a qualche anno fa non esisteva una parola precisa per definirli, né una legge speciale che li tutelasse, scritta apposta per loro.
Eppure c’erano, ci sono da sempre sullo sfondo della tragedia che colpisce una famiglia quando una madre viene uccisa.
In questi giorni più che mai si parla di femminicidio e di “orfani speciali”, secondo la definizione di Anna Baldry, studiosa che ha largamente contribuito alla diffusione di queste tematiche.
Sono i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, i giovani che perdono la figura materna, nella maggior parte dei casi, per mano del loro padre. Minori che restano senza famiglia a causa dell’evento più drammatico che si possa immaginare, che si trovano a dover superare il trauma della perdita e del crimine insieme, spesso in un contesto caratterizzato da difficoltà economiche e abitative, di inserimento sociale, a rischio di dispersione scolastica e con un enorme problema di affidamento ad una nuova famiglia che si prenda cura di loro.
In Italia non esistono dati ufficiali che ci dicano quanti sono i minori orfani a causa di violenza domestica, dobbiamo pertanto affidarci alle stime.
Gli ultimi numeri disponibili, frutto di una ricerca Eures, parlano di circa 2000 bambini che hanno perso la mamma tra il 2009 e il 2021 perché uccisa dal proprio compagno di vita.
Nell’80% dei casi l’autore del delitto è anche il padre dei figli della vittima. Un ragazzo su tre è stato testimone del delitto. Nella maggioranza dei casi i minori vengono immediatamente accolti dai servizi sociali o dai parenti stretti- soprattutto nonni e zii- ma questo tipo di affidamento non può essere paragonato ad un’adozione formale e lo status giuridico dei minori resta poco chiaro, talvolta per molto tempo.
Da qualche anno nel nostro Paese è stata introdotta la legge 4/2018 che prevede una tutela ad hoc a a favore dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti della vittima di un femminicidio. Le norme introducono misure di tipo economico e assistenziale quali il patrocinio a carico dello Stato, anche in deroga ai limiti di reddito previsti; il sequestro conservativo dei beni dell’indagato a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli della vittima; l’indegnità a succedere dell’indagato; la sospensione della pensione di reversibilità; la previsione che ai figli spetti una provvisionale in misura non inferiore al 50% del presumibile danno; la valorizzazione della continuità delle relazioni affettive con parenti non oltre il terzo grado, per quanto riguarda la decisione in merito all’affidamento; l’assistenza gratuita medico-psicologica, l’erogazione di borse studio e il diritto dei figli di chiedere la modifica del proprio cognome se uguale a quello del genitore condannato in via definitiva.
In attuazione di tale legge, il decreto 17/2020 prevede l’erogazione della somma di 300 euro al mese come sostegno alle famiglie affidatarie e altri sgravi fiscali.
Purtroppo le norme risultano di scarsa applicazione, prima di tutto perché manca un osservatorio nazionale sul femminicidio, da cui ricavare dati certi, e che permetta ai centri antiviolenza di intervenire con puntualità e poi perché la legge in questione sembra essere poco conosciuta. Le famiglie affidatarie non sanno a chi rivolgersi e restano quasi sempre sole ad affrontare situazioni molto delicate e complesse.
Questo vuoto viene spesso colmato dal lavoro del terzo settore.
Vale la pena segnalare la Fondazione “Con i bambini” che ha lanciato “A braccia aperte”, la prima iniziativa in Italia che realizza una presa in carico degli orfani di femminicidio sotto tutti i profili, affiancando fin dai primi momenti la famiglia affidataria con lo scopo di creare una rete di sostegno e riparativa il più completa possibile fatta da enti pubblici, centri antiviolenza, associazioni, cooperative, università, centri specialistici, istituti di ricerca e luoghi di formazione professionale.
E ancora, il Progetto Orfani Vittime Invisibili, tra i tanti scopi che si prefigge a tutela dei bambini orfani “speciali”, ha anche quello di tenere un canale di dialogo aperto con le scuole, quali prime sentinelle di un disagio domestico che rischia di esplodere in violenza, gettando così i semi del prezioso lavoro di sensibilizzazione e prevenzione anche nei luoghi di formazione e di crescita ora necessario più che mai.