Un piccolo gioiello, un concentrato di cinema personale, essenziale, necessario, questo è il documentario (o forse non lo è, ma come chiamarlo allora?) che il filmmaker fanese Mauro Santini ha girato nel 2018 in una scuola elementare di Pieve Torina, un paesino delle Marche distrutto dal terremoto del 2016. La cinepresa a mano con cui egli ha girato mentre i bambini erano impegnati nelle loro lezioni quotidiane in classe regala prodigiose e coinvolgenti pennellate di sguardi in primissimo piano, particolari del loro fare, come lo scrivere, il cancellare, il pensare. Tutto a beneficio dello spettatore, che riesce a (ri)vedersi per la prima volta, come gli spettatori dei Lumière al Salon Indien di Parigi nel 1895, durante la prima proiezione pubblica del neonato cinematografo. Sì perchè quello di Santini è un cinema arcaico, primigenio, fatto per fagocitare la realtà, che diventa così, inevitabilmente, poesia. L’etica prima dell’estetica, anzi che diventa spontaneamente estetica, come in Rossellini, Ivens, Truffaut, De Seta, Ozu, Makhmalbaf, Kiarostami. Non c’è nel regista marchigiano amore per l’immagine ma uso dell’immagine per esprimere amore, quello che nasce dal mistero della vita che si fa, impercettibile momento che solo lo sguardo attento e desideroso di emozioni dell’artista riesce a catturare. La realtà ci sfuggirebbe, la cinepresa di Santini la cattura e la tiene in vita per noi, fruitori dell’incanto dell’umano beneficiati da una tecnica che si dissolve e ridiventa occhio pronto a commuoversi per commuoverci. Come i bambini del desetiano “Diario di un maestro”, anche quelli di Santini escono dalla classe, dalla scuola, completano la loro esplorazione del mondo. Le macerie del terremoto sono la realtà con cui si confrontano, senza averne paura, anzi cogliendone appieno la vita rimasta, regalando carezze ad un gattino che vive lì intorno. Per loro tutto è presente, vita da vivere, e la cinepresa di Santini è lì a dirlo, registrando l’ordinario che diventa inconsapevole momento assoluto di verità. La ripresa di spalle dell’infanzia in cammino verso la vita rimanda al caro Edmund rosselliniano, qui, come ne “I 400 colpi” dell’immortale Francois, riscattato alla vita dagli sguardi felici di bambini che rimarranno sempre tali. Il cinema come privilegio della memoria.