La fine di un Ottobre tropicale è coincisa con la conclusione del Fringe Festival 2023, che ha scaldato e illuminato parimenti le sere catanesi con i suoi riflettori e la sua verve, lasciandosi dietro una scia di volti, musiche, performances, in un’atmosfera già nostalgica e al contempo sinergica, fitta di energie artistiche fluttuanti. Nel fitto panorama di incontri ed eventi programmati la parte del leone è toccata naturalmente al teatro che con i suoi 64 spettacoli in replica per due settimane ha mostrato un incisivo spaccato delle tendenze contemporanee. All’insegna della creatività autogestita e del “fai da te” l’excursus intensivo del teatro indipendente contemporaneo fa emergere la prevalenza dei monologhi, che si affianca all’esplorazione di temi di scottante contemporaneità o a problematiche esistenziali, pur veicolati da figure leggendarie, come nel divertente “Bloody Medea!!!” da Londra, di A. Basauri, con il clown April Small, dove tra veli e spiritose scenografie cartonate si snodano le clownesche performance di una Medea rivisitata, tra tragedia e farsa, o come nell’Amleto-punk di e con Paolo Toti, in “Pest(E) a Buda”, da Catania, un generoso monologo in cui risuona il disperato appello dell’eroe shakespeariano, teso a salvarci da un ottusamente meccanizzato e disumano presente. Gli spettacoli presentati essendo autoprodotti spesso si connotano per una inevitabile impronta artigianale nelle scenografie e costumi, spesso delegata ad agevoli supporti tecnologici che conferiscono quel certo saporino di innovazione alla scena, come “R/Place”, un originale excursus di una piattaforma multimediale che sorprendentemente svela la natura benigna del genere umano, di e con Matteo Sintucci da Torino.
Ben rappresentato anche il teatro fisico dove l’espressione corporea è la grande protagonista, come nella performance “Muta-Morfosi”, di e con Sara Lisanti da Torino, in cui il corpo dell’artista, unico protagonista, viene messo a dura prova, in un ipnotizzante percorso di ricerca che vede tramontare il dominio della parola. La recitazione in lingua inglese appare in molte performance, come nel vivace e ironico monologo interattivo “Be my guest” di e con Monia Baldini, da Cavriglia, brillantemente sfaccettato in sei personaggi, dove l’artista affronta con apparente leggerezza e coraggio temi decisamente scottanti. Non mancano i grandi valori come il rispetto della legge, esplorata ne “Il Capro” monologo di e con Alceste Ferrari, da Catania, dove un femminicidio in un paesino lontano troverà la sua paradossale giustizia.
In generale si avverte il bisogno di un linguaggio internazionale, una sorta di globalizzazione drammaturgica, dove le contaminazioni abbattono i confini territoriali, aprendo orizzonti multimediali e multietnici come il brioso “Fuga da Mozart”, della compagnia Teatro a Canone di Chivasso (TO), godibile rivisitazione del genio viennese, attraverso i principi del teatro-danza orientale, giocato su un’ironia sottile, tra pupazzi ed equilibrismi. Si avverte in generale l’urgenza di comunicare con nuovi strumenti, ma che attingono alla classicità e alle radici della nostra cultura, come nell’onirico “Charta” di e con Bernardo Casertano da Roma, che esplora i confini della genitorialità oscillando tra due intramontabili suggestioni come l’Affabulazione di Pasolini e Pinocchio, qui divenuto padre, elegantemente accostati in bianco e nero in un suggestivo ensemble, dove la carta domina su un mondo fragile e improbabile.
La ricerca drammaturgica dei partecipanti al Festival dunque oscilla tra passato, presente e futuro, senza trascurare le problematiche esistenziali, come “Il Bebè”, di C.Durang, con la Compagnia Imprevisti e Probabilità, da Formia (LT), uno spiritoso e godibile manuale di sopravvivenza, dove un ragazzo di nome Margherita (!) tenta di salvarsi da disastrosi genitori, in un ricco caleidoscopio di buffi personaggi, ben orchestrati. Anche “Quello che non sono” di Alessandro Guetta, con la compagnia milanese Loop Teatro, indaga con freschezza sull’inquietante disagio esistenziale dei giovani d’oggi che, tentando di sfuggire alla sensazione di fallimento, cercano un preoccupante rifugio nel mondo virtuale, per “salvarsi “dalle delusioni nella vita reale. Non manca altresì l’attenzione alla “diversità”, delicatamente proposta in “Barbaros”, di e con Guido Del Vento e la sua compagnia romana, coinvolgente pièce sulla balbuzie, in senso stretto e in senso lato, che svela l’inferno di chi ha un difetto, ma offre anche soluzioni. Non è stato possibile gustare le altre interessanti proposte, non avendo il dono dell’ubiquità; pertanto tengo a puntualizzare che ho evidenziato solo gli spettacoli a cui sono riuscita ad assistere. Una vera e propria giostra di eventi intorno all’ossatura drammaturgica, in un clima di collaborazione fattiva, hanno offerto alla città e agli artisti la ghiotta e stimolante opportunità culturale, sociale e umana di incontri, confronti, diretti con sagacia, competenza, passione e spirito indomito da Francesca Vitale e Renato Lombardo, che da anni con PalcoOff e ora con il Fringe, proditoriamente incoraggiano e danno visibilità alla produzione indipendente, fuori dai circuiti ufficiali, perché questi artisti meritano un pubblico, anche se spesso disorientato dalle stravaganze e dall’inconsueta drammaturgia proposta. Occorre educare a un diverso stile e questo PalcoOff e il Fringe Festival lo fanno. Ad maiora semper!