La figura leggendaria di Clitennestra ritorna a calcare le scene in una impeccabile trasposizione drammaturgica di Roberto Andò dall’affascinante romanzo di Colm Tóibín “La Casa dei nomi”, pubblicato nel 2018.
Di grande suggestione, l’incipit di “Clitennestra” e il finale di questo dramma senza tempo, mostrano la quarta parete sbarrata da una tela semitrasparente dietro cui si muovono le ombre dei personaggi, prigionieri di un palco che li genera per poi inchiodarli per sempre al loro ruolo. Non ci sono più dei, né eroi, ma semplicemente uomini, con le loro passioni, le loro emozioni, le loro azioni, la loro fragile umanità.
In questa chiave di lettura la famigerata stirpe degli Atridi è assimilata a una delle tante famiglie conflittuali, qui fino all’estremizzazione, restituendo alla dimensione umana l’esacerbante dramma di Clitennestra, superbamente impersonata da una frenetica e intensa Isabella Ragonese, che dona grazia e complessità psicologica alla dolorosa storia della regina di Micene, riscattandone l’effigie di “mostro sanguinario”, una Macbeth agli albori, tramandata dall’Odissea e dai tragici greci come implacabile adultera e assassina. Nel romanzo da cui prende le mosse il dramma, Clitennestra lo è adultera e assassina, ma viene sviscerata la causa dell’infedeltà e dell’eccidio, in un’accurata ricostruzione della catena di eventi che hanno condotto la donna al tradimento e al delitto, intrecciando Euripide ed Eschilo, in un susseguirsi di fedeltà filologica e invenzione.
Resa efficacemente da una regia iconica e di forte impatto, la pièce si avvale di una scenografia essenziale su due piani, lineare, algida, nello squallore impietoso e angosciante di una sorta di mattatoio, dove tra sedie, letti, vasche, rigorosamente in bianco e nero, anche nel cast, la storia della donna greca infamata dalla tradizione letteraria si dipana davanti ai nostri occhi con le sue crude verità e i suoi contorcimenti. Clitennestra, vibrante in un semplice ed elegante abito nero, racconta i fatti che l’hanno condotta a tradire e uccidere. Agamennone, condottiero dei greci in guerra con Troia, bloccati da assenza di vento, consultato l’oracolo che aveva dato un responso terribile, il sacrificio della figlia Ifigenia, tradisce la fiducia della madre e quella della figlia, attirandole in Aulide con l’ingannevole promessa di nozze con il Pelide Achille. Raggiunto il consorte e padre, le due donne davanti alla verità svelata dallo stesso Achille, succubi di un destino segnato al quale tentano disperatamente di ribellarsi, ma inutilmente, vanno incontro al loro turpe destino: sacrificata la figlia, imprigionata la madre ribelle e rispedita alla reggia. In un implacabile punto di non ritorno Clitennestra decide lucidamente di assassinare il marito. Per portare avanti il suo piano avrà al suo fianco Egisto, complice e compagno, suscitando l’orrore e il ribrezzo di Elettra, l’altra figlia, mentre Oreste è lontano. Il ritorno dalla guerra di Agamennone con Cassandra al seguito, schiava di guerra, è scandalosamente segnato dal delitto rivoluzionario dell’amante troiana e del re, “giustiziato” nella vasca da bagno dalla moglie, antesignana di Charlotte Corday, l’assassina di Marat. Dopo non rimane che aspettare ciò che sappiamo l’attende: il suo assassinio per mano del figlio Oreste che vendicherà il padre con questo terribile matricidio, in una catena incessante di lutti, dolore, espiazione. E’ sulla scena dell’attesa, rigorosamente in bianco, che si chiude questo dramma, reso umano da una prospettiva che insinua e semina il dubbio, scardina certezze, indagando su una donna leggendaria per il suo delitto, ma che rivela le sue ragioni, la sua forza e la sua autodeterminazione, facendo di lei, come di altre figure femminili da Elena a Medea, un esempio di riscatto dalla condizione di sudditanza, in una rilettura in chiave moderna della donna; un’operazione culturale che riabilita e dà luce a chi ha saputo ribellarsi al bieco e ottuso potere maschile pagando il prezzo di questa rivolta. Esteticamente, culturalmente, ideologicamente, “Clitennestra”, che si avvale di un testo interessante, di una solida regia, di un cast di primordine, suggestiona, coinvolge, sgranando emozioni forti, dal raccapriccio del sacrificio all’amore viscerale di una madre, resa belva sanguinaria da una profanazione insopportabile.
Su questo amore negato e vendicato cala infine la magica tela della finzione condannando il personaggio di Clitennestra a rivivere ogni volta il suo terribile destino, in una sorta di espiazione di sapore pirandelliano.
CLITENNESTRA
da La casa dei nomi di Colm Tóibín
adattamento e regia Roberto Andò
con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo, Katia Gargano,
Federico Lima Roque, Cristina Parku, Anita Serafini
coro Luca De Santis, Eleonora Fardella, Sara Lupoli, Paolo Rosini, Antonio Turco
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche e direzione del coro Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
coreografie Luna Cenere
trucco Vincenzo Cucchiara
parrucchiera Sara Carbone
aiuto regia Luca Bargagna
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival
Teatro Stabile Catania. Sala Verga dal 14 al 19 Novembre