Aggiorno il mio diario di guerra in Medioriente.
Il fine settimana si annuncia di assoluto rilievo: in Arabia Saudita si svolgeranno, uno dopo l’altro, il Vertice dei Capi di Stato e di governo arabi e il Vertice della Conferenza per la Cooperazione Islamica, su Gaza ovviamente.
Eppure, il “mondo che conta” è volato o sta volando nella capitale del Paese limitrofo, quella del Qatar, a Doha. Lì si stanno svolgendo i negoziati – assai riservati – tra gli emissari dei Capi di Stato e di governo coinvolti nella tragedia, per trattare – si dice – sugli ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre.
Tra chi tratta, spicca il nome di un privato cittadino libanese, senza più alcun incarico ufficiale, il signor Abbas Ibrahim. A lungo capo della Sicurezza Generale libanese su designazione di Hezbollah: è stato lui, negli anni decisivi della guerra siriana – nella quale Hezbollah ha “giocato” con l’alleato Assad – a dire di voler trattare con i jihadisti nemici di Assad, con i quali asserì di essere giunto a un accordo per il rilascio di due vescovi siriani sequestrati, il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco ortodosso Boulos Yazigi.
Notizia poi scomparsa da ogni agenda e caduta nel silenzio come, purtroppo, la sorte dei due prelati. Tanto che, da allora, è rimasto il sospetto che, in realtà, furono altri i gruppi a sequestrarli, forse legati allo stesso regime di Assad. Quale fu, in tutto quel gioco dell’inganno, il vero ruolo di Abbas Ibrahim? Non si sa.
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Certo nei lunghi anni spesi alla guida della Sicurezza Generale libanese, con alle spalle l’importantissima copertura di Hezbollah, è diventato un interlocutore prezioso per tutto il mondo: ha trascorso lunghi periodi in Occidente, soprattutto in Francia e negli Stati Uniti, dove è rimasto a lungo, una volta bloccato dall’epidemia di Covid.
In quello stesso anno, il 2020, è stato sicuramente a colloquio con i più stretti collaboratori del presidente francese Macron, sia quelli politici che quelli militari. Ma, a quei tempi, era almeno a capo della Sicurezza Generale libanese, benché trapelasse l’idea che parlasse anche e soprattutto in nome di Hezbollah (quindi forse pure dell’Iran): il titolo ufficiale gli dava una copertura di legittimità istituzionale.
Ora è a Doha, ove non rappresenta più l’intelligence libanese, perché è solo un privato cittadino, appunto. Sempre in questa veste – ossia nessuna – è stato il primo libanese ad incontrare l’inviato statunitense, Amos Hochstein. L’incontro è avvenuto a Beirut, poche ore fa, sulla via del Qatar; ma aveva fretta Abbas Ibrahim: non poteva rinviare la sua partenza per Doha.
“Amico” di tutti, ascoltassimo, ad esempio, dalla CIA, Abbas Ibrahim è la spiegazione vivente del motivo per cui nel suo recente, attesissimo e commentatissimo discorso pronunciato da Beirut, il capo di Hezbollah, Hasan Nasrallah, ha fatto capire come, per ora, l’estensione del conflitto va evitata, senza mai citare il Libano. Eppure, è il Libano il Paese da cui Hezbollah opera i suoi attacchi contro Israele e su cui Israele risponde coi suoi colpi.
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La scelta di Nasrallah di non parlare del suo Paese e la “missione” del privato cittadino Abbas Ibrahim denotano chiaramente lo stato di “finzione” in cui versa il Libano: la realtà che conta è Hezbollah, ossia, quello che potremmo definire uno Stato-ombra.
Anni fa, Amin Gemayyel, l’ultimo Gemayyel a essere stato regolarmente nominato Presidente del Libano, pensò di intervenire presso il vertice dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, posto che la maggioranza dei libanesi è di fede musulmana. Lui, come è noto, è cristiano maronita, come erano e saranno, secondo il patto libanese, tutti i presidenti. Ma un Presidente rappresenta il Paese, non sé stesso o la sua comunità soltanto.
Se ci fosse oggi un presidente in carica, avrebbe fatto bene a ricordare l’idea di Amin Gemayyel e a farla propria, partecipando al vertice dell’Organizzazione Islamica che discute della guerra e di Gaza. Sarebbe stato il modo per riportare il Libano nella gestione politica di un conflitto che lo riguarda, così come riguarda tutti i cristiani arabi, non solo i libanesi.
L’ho ricordato molte altre volte: da un anno la Presidenza della Repubblica libanese è vacante, di conseguenza il governo è in carica per il semplice disbrigo degli affari correnti. Mentre nessun cenno di possibile riunione parlamentare, per eleggere il nuovo Capo di Stato, aleggia. Appena fuori “dalla porta” -. ma neanche tanto – c’è la guerra.
Ciò avviene, oltre che in aperta violazione della costituzione, oltre ogni buon senso. Così i lavori parlamentari in Libano si svolgono come decide Hezbollah, il partito di Hasan Nasrallah che non ha alcuna fretta o intenzione di eleggere un Presidente, se non “il” cristiano da lui prescelto: oggi, però, i voti per l’operazione non ci sono, domani chissà.
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Ora, se i cristiani vogliono ancora svolgere un ruolo culturale e politico in questa tragedia, da dove ripartire, se non dalla gestione in chiave regionale della presidenza del martoriato ma nevralgico Libano? Un presidente arabo di fede cristiana che sia tale, potrebbe legittimamente richiedere di partecipare al vertice dell’Organizzazione della Conferenza islamica e dire la sua.
Il seggio del Libano sarà vuoto anche al Summit Arabo, convocato sempre in questo fine settimana. Ma, almeno là, Hezbollah non potrà mandare quale suo rappresentante il signor Abbas Ibrahim, perché ai vertici dei Capi di Stato e di Governo non possono partecipare i privati cittadini. Basta la sua presenza – neppure segreta – tra i funzionari dei servizi (segreti) riuniti a Doha: molto significativa.
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