BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Tendenze demografiche, mercato del lavoro e flussi migratori internazionali Costruiamo scuole, non muri

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Siamo qui per ricordare le quasi 400 vittime del naufragio che ebbe luogo 10 anni fa nel mare di fronte a noi; credo però sia giusto ricordare anche gli altri 56.000 migranti che sono morti nei successivi 10 anni, 26.000 dei quali in quel mare che dovrebbe unire l’Europa e l’Africa, ma che di fatto è diventato una trappola mortale per molti di coloro che lo vogliono attraversare.

Non dirò parole di circostanza la cui vuota ripetitività mi è divenuta insopportabile, ma cercherò di fornirvi una lettura dei flussi migratori alternativa a quella prevalente e di esporvene le implicazioni per una gestione razionale ed umana dei flussi migratori.

Credo però sia necessario cominciare chiedendosi di chi sia la “responsabilità” della morte di tanti uomini, donne e bambini, ma anche delle enormi sofferenze di chi riesce a raggiungere vivo il nostro paese. La mia domanda non è motivata da ragioni morali, ma dal fatto che solo conoscendo le cause di un problema si può individuare il giusto rimedio.

Sono le teorie che danno forma alla storia e ciò che conta non sono i fatti, ma la loro interpretazione.

Io credo nella scienza e nel ruolo fondamentale che essa può e deve svolgere per progettare e implementare politiche razionali ed efficaci in tutti i campi dell’umano operare. La storia mostra però che in tutte le epoche gli scienziati hanno elaborato e sostenuto teorie che si sono poi dimostrate totalmente errate. Tra i casi più eclatanti vi sono la teoria tolemaica dell’universo, la teoria del flogisto, la teoria dei miasmi, la teoria della generazione spontanea. Alcune, come la visione tolemaica sono durate per secoli, altre sono sopravvissute solo pochi decenni, altre solo il tempo di un mattino. Alcune sono state del tutto innocue, altre hanno avuto ed hanno ancora conseguenze drammatiche.

Tra queste ultime un ruolo particolarmente rilevante hanno avuto la teoria delle razze che ha quasi completamente monopolizzato la scienza e la pubblica opinione per oltre due secoli e la sua primogenita, l’eugenetica, che per circa 100 anni è stata considerata come una posizione di buon senso non solo dalla gente comune, ma anche da personaggi insospettabili come i coniugi Webb, George Bernard Shaw, Bertrand Russell, William Beveridge, John Maynard Keynes, Winston Churchill e, dall’altra parte dell’Atlantico, il presidente preferito di Trump, Teodoro Roosevelt. In Italia fra i simpatizzanti di spicco vi furono il demografo Corrado Gini e padre Agostino Gemelli, fondatore e decano dell’Università Cattolica di Milano.

Malgrado i tentativi di spazzare sotto il tappeto gli orrori che queste teorie hanno generato (ed i campi di sterminio ne sono solo l’aspetto più noto), o forse proprio a causa di essi e della incapacità di metabolizzare i nostri errori e le loro conseguenze, non vi è dubbio che queste tesi hanno seminato nell’inconscio collettivo razzismo e xenofobia che sono tuttora presenti in quasi tutti i paesi della terra, spesso in forme molto gravi e profonde, come mostrerebbe una rassegna anche superficiale dei gruppi e dei movimenti xenofobi e suprematisti presenti in tanti paesi.

Ma la causa principale della nostra ostilità nei confronti dei migranti, ciò che spiega perché i governi di tutti i colori (dal nero al verde al rosso) si oppongono ai flussi migratori è che sia la destra, sia la sinistra accettano la stessa spiegazione del fenomeno, quella fornita dalla teoria dominante, dal paradigma neoclassico. Essa spiega i flussi migratori dal lato dell’offerta e quindi propone una immagine dei migranti come persone che fuggono dalla carenza di lavoro, dalla miseria, dalla fame, dalle guerre, dai disastri ambientali. Quindi, se i migranti vengono nei nostri paesi spinti dalle loro necessità e non per soddisfare un nostro bisogno, noi abbiamo tutti i diritti di difenderci da quella che, con l’aiuto di una xenofobia ben orchestrata dai partiti della destra, assume immediatamente i connotati di una vera e propria invasione, di una seria minaccia economica e sociale la cui gestione va affidata ai ministri degli interni e all’esercito.

Insomma, siamo noi demografi ed economisti e le teorie che insegniamo nelle nostre università e proponiamo nella stampa e negli altri media i veri colpevoli del dramma migratorio.

La storia mostra che la resilienza delle teorie può essere molto forte anche quando esse sono contraddette dall’osservazione empirica e vi sono fenomeni che esse non riescono a spiegare, se non arrampicandosi sugli specchi. Nel nostro caso, è evidente che la teoria dominante dei flussi migratori non spiega numerosi aspetti di questo fenomeno: ad esempio, perché alcuni paesi, come l’Italia, da

paesi di emigrazione siano divenuti paesi di immigrazione; il momento in cui ciò è avvenuto; la progressiva trasformazione della struttura geografica degli arrivi.

Il fallimento della demografia e della economia a comprendere e spiegare i flussi migratori è sintetizzato dal seguente grafico che rappresenta l’andamento dei flussi migratori negli ultimi 70 anni e la previsione per i prossimi 80 proposta da UNDESA, il Dipartimento dell’ONU che dagli anni 1950 produce stime e scenari demografici per tutti i paesi del mondo. Secondo UNDESA, i flussi migratori del pianeta dopo essersi sostanzialmente dimezzati dovrebbero poi rimanere costanti fino alla fine del secolo. Credo che qualunque commento sia inutile.

La storia mostra anche che le teorie non scompaiono per cause naturali, ma solo se e quando esse vengono uccise da una nuova teoria; in sostanza, solo se e quando abbiamo il coraggio di sostituire gli occhiali che indossiamo con degli occhiali nuovi. Si tratta di un’operazione certamente molto difficile, ma che è indispensabile se vogliamo avere una visione corretta dei flussi migratori e capire come dobbiamo gestirli per il bene nostro e dei paesi di partenza. Nei prossimi minuti cercherò di avviare questo processo cominciando da una rappresentazione della situazione demografica del nostro pianeta.

La figura mostra come i quasi 200 paesi nei quali la Terra è frammentata possano essere divisi in tre gruppi. Il primo gruppo (in arancione) è costituto dai paesi più ricchi ed economicamente sviluppati. Nei prossimi 25 anni questi paesi saranno caratterizzati da una diminuzione, in alcuni casi estremamente pronunciata, della Popolazione in età lavorativa. Il secondo gruppo, in blu, è formato dai paesi più poveri ed economicamente più arretrati della terra. Essi registreranno una drammatica esplosione della popolazione in età lavorativa. Infine, il terzo gruppo, in verde, include alcuni paesi nei quali la popolazione in età lavorativa crescerà ad un tasso modesto.

Questa drammatica polarizzazione demografica della Terra è il risultato di uno dei più drammatici fenomeni in atto nel nostro pianeta; il progressivo passaggio da un regime demografico naturale (che è rimasto in vigore in tutto il pianeta fino alla seconda metà del XIX secolo) ad un regime demografico del controllo, vale a dire il passaggio da una situazione in cui l’uomo non aveva nessun controllo su nascite e morti ad una situazione in cui vi è una crescente capacità di combattere le malattie che falcidiavano la nostra specie ed un totale controllo sulla riproduzione. Purtroppo, non ho il tempo di analizzare questo evento epocale, come esso si sia sviluppato, quali sia già stato il suo impatto. Mi limiterò a ricordare che esso sta provocando una vera e propria rivoluzione demografica che fra l’altro determinerà una diminuzione della popolazione totale del pianeta prima della fine del secolo e della popolazione in età lavorativa, la fonte dell’offerta di lavoro, tra una trentina di anni. A mio avviso

questi fenomeni saranno estremamente positivi per il nostro pianeta, ma avranno enormi conseguenze economiche, sociali, ambientali e politiche e il fatto che non se ne parli dice molto su di una società che vive in maniera pettegola nel presente e non sa guardare non dico lontano, ma neppure dietro l’angolo.

Per comprendere l’eccezionalità del fenomeno di polarizzazione demografica in atto e la sua gravità dobbiamo partire da una analisi della sua dimensione. Tra il 2020 e il 2045 la Popolazione in età lavorativa del pianeta aumenterà di 905 milioni, ma come risultato di una diminuzione di 279 nei paesi arancioni e di un aumento di 1,184 milioni nei paesi blu e verdi (che però contribuiscono solo per 15 milioni).

Numero di paesi Popolazione in età lavorativa
2020 2045 Variazione totale Variazione media annua
Economie classiche 109 2.738 3.906 1.169 46,7
Economie neoclassiche 20 330 346 15 0,6
Economie post-moderne 71 1.989 1.710 -279 -11,2
Totale 200 5.057 5.962 905 36,2

Quali sono le implicazioni per il mercato del lavoro? Se la Terra fosse un pacifico villaggio dove la popolazione in età lavorativa potesse essere istantaneamente teletrasportata dove vi è lavoro, per mantenere inalterato l’attuale tasso di occupazione (vale a dire il rapporto tra occupati e popolazione in età lavorativa) basterebbe creare circa 590 milioni di posti di lavoro, un obbiettivo certo difficile ma non impossibile perché in linea con quanto successo negli ultimi 20 anni.

Purtroppo, così non è dato che il nostro è diventato il pianeta dei muri, un pianeta nel quale la libera circolazione dei lavoratori che dovrebbe essere un diritto civile e la base di un sistema economico competitivo è sempre più una chimera. Quindi, per mantenere inalterato l’attuale tasso di occupazione i paesi del primo gruppo dovrebbero creare 770 milioni di posti di lavoro ed i secondi distruggerne 195 milioni.

Variazione totale Variazioni nazionali positive Variazioni nazionali negative
Popolazione in età lavorativa 905 1.184 -279
Posti di lavoro ( TdO=65%) 588 770 -195

In entrambi i casi si tratta di soluzioni del tutto irrealistiche. Per i paesi blu i tassi di crescita necessari per raggiungere questo obbiettivo sono del tutto irraggiungibili, basti pensare che i paesi più poveri

della terra dovrebbero creare 31 milioni di posti aggiuntivi all’anno, 17 dei quali in Africa. È altresì evidente che nella EU, la necessaria distruzione di oltre 1,5 milioni di posti lavoro all’anno per i prossimi 25 anni non incontrerebbe l’appoggio degli imprenditori europei.

Per approfondire il problema dobbiamo però capire bene come funziona il mercato del lavoro. A questo scopo vi racconterò una versione concisa di un apologo che inventai tanti anni fa. Esso si basa sull’idea che il mercato del lavoro funziona come un cinema, ma un cinema di una volta nei quali si poteva entrare in qualunque momento e si usciva quando si era visto tutto lo spettacolo.

Ora supponiamo che fuori dal cinema Italia vi sia uno spazio sul quale si snoda la fila dei giovani che, finita la fase formativa ed educativa, vogliono iniziare a lavorare. Supponiamo altresì che tutte le sedie del cinema siano occupate. Quali sono i meccanismi che permettono l’ingresso nel cinema a nuovi spettatori? Fuori metafora, quali sono i meccanismi che permettono ai giovani usciti dal sistema educativo e formativo di trovare un lavoro e, più in generale, alle varie generazioni di succedersi le une alle altre nel mercato del lavoro?

La risposta, credo molto intuitiva è che il numero di giovani che possono entrare nel cinema è dato dalla somma del numero di posti di lavoro che vengono resi disponibili dalle uscite definitive degli spettatori che hanno finito di vedere il film o sono stati costretti ad uscire per altri motivi (la morte, problemi di salute e problemi famigliari) e dal numero di sedie che sono state aggiunte o distrutte dal gestore del cinema.

In una situazione di sostanziale stabilità o di moderata crescita della popolazione in età lavorativa il numero di giovani che vogliono entrare nel Cinema tende ad essere non molto diverso da quello di coloro che escono definitivamente e comunque la differenza è modesta e può essere colmata dall’inserimento di nuove sedie. Questa è la situazione dei paesi verdi, una situazione di transizione e che a livello globale è marginale.

Ma come abbiamo visto vi sono altre due situazioni demografiche. La prima è quella dei paesi arancione dei quali fanno parte l’Italia e tutti gli altri paesi della UE insieme a Stati Uniti, Canada, alcuni paesi della America Latina ma soprattutto la Grande Cina, Giappone, Corea del Sud, Tailandia e Singapore. In questi paesi il numero di giovani che vogliono entrare nel cinema (l’offerta di flusso) sta diminuendo, in alcuni casi ormai da molti anni, come conseguenza del declino delle nascite. Questo processo fa sì che il numero di coloro che desiderano entrare nei cinema nazionali diventi minore di quello necessario per occupare le sedie disponibili.

La seconda è quella dei paesi blu nei quali la PEL sta aumentando e letteralmente esploderà nei prossimi decenni a causa della dinamica delle nascite. Inevitabilmente la fila davanti al botteghino diventerà sempre più lunga anche perché le uscite definitive dal cinema saranno relativamente poche dato che il numero degli anziani nel mercato del lavoro è relativamente modesto.

L’ovvia conclusione è che nei prossimi decenni i paesi arancioni vedranno la loro carenza strutturale di lavoro aumentare considerevolmente, mentre i paesi blu vedranno esplodere il loro eccesso strutturale di lavoro.

La mia tesi è che dobbiamo concentrare la nostra attenzione sui paesi arancione perché sono essi, che determinano la direzione dei flussi migratori e la loro dimensione.

Cominciamo dall’Italia. Tra il 2020 e il 2050 la Popolazione in età lavorativa del nostro paese diminuirà di 12,5 milioni e ciò comporterà che, in assenza di immigrazione, oltre 9 milioni di sedie del cinema Italia rimarranno vuote. Se ipotizziamo poi che le sedie del Cinema Italia aumentino come nel trentennio 1990-2000 vale a dire di quasi 2 milioni, allora il numero di sedie vuote (vale a dire il nostro fabbisogno strutturale di lavoro) sarà pari a quasi 11 milioni. Inoltre, se il fabbisogno medio annuo sarà di circa 400.000, i dati mostrano che nel prossimo decennio il fabbisogno medio annuo sarà di circa

    1. immigrati.
Italia
Contrazione della popolazione in età lavorativa Posti di lavoro che non potranno essere coperti da forze di lavoro locali per motivi demografici
Totale del

quinquennio

Media annua Totale del

quinquennio

2020-25 -1.327 -265 -995
2025-30 -2.123 -425 -1.592
2030-35 -2.659 -532 -1.994
2035-40 -2.677 -535 -2.008
2040-45 -2.103 -421 -1.577
2045-50 -1.579 -316 -1.184
2020-50 -12.468 -416 -9.351

Ricordo che i dati della tabella sono elaborazioni di stime pubblicate dall’ONU, che dati simili sono disponibili da almeno una ventina di anni e che sono estremamente solidi dato che la maggior parte dei giovani che entreranno nella popolazione in età lavorativa sono già nati.

Per quanto riguarda la UE, nei prossimi 25 anni la popolazione in età lavorativa diminuirà di 64,5 milioni (-22,6%) e i posti di lavoro che non potranno essere coperti da lavoratori dell’Unione sarà di oltre 48 milioni, che salirebbero a 76 milioni nel caso in cui i posti di lavoro aumentassero di 28 milioni, come nel trentennio precedente.

EU 27 Africa
Variazione della popolazione in età lavorativa Posti di lavoro che non potranno essere coperti da forze di lavoro locali per motivi demografici Variazione della popolazione in età lavorativa Posti di lavoro che non potranno essere coperti da forze di lavoro locali per motivi demografici
Totale del quinquennio Media annua Totale del quinquennio Media annua Totale del quinquennio Media annua Totale del quinquennio
2020-25 -7.353 -1.471 -5.515 -1.103 2020-25 113.413 22.683 73.718
2025-30 -10.340 -2.068 -7.755 -1.551 2025-30 127.770 25.554 83.051
2030-35 -11.678 -2.336 -8.759 -1.752 2030-35 135.402 27.080 88.011
2035-40 -11.975 -2.395 -8.982 -1.796 2035-40 141.129 28.226 91.734
2040-45 -11.967 -2.393 -8.975 -1.795 2040-45 143.833 28.767 93.491
2045-50 -11.171 -2.234 -8.379 -1.676 2045-50 145.027 29.005 94.268
2020-50 -64.484 -2.149 -48.363 -1.612 2020-50 806.574 26.886 524.273

Ora al di là di uno stretto braccio di mare c’è il continente africano. A differenza di quella della UE, la popolazione in età lavorativa dell’Africa aumenterà ad un ritmo crescente tanto che, in assenza di flussi migratori, nel 2050 sarà 7 volte quella della UE, mentre adesso è solo di 2,6 volte.

Anche l’Africa, come la UE, ha la sua brava multisala. Nello spiazzo davanti alla Multisala Africa già adesso si snoda una lunghissima fila di giovani che vorrebbero trovare un posto decente al suo interno e nei prossimi anni saranno decine di milioni i giovani che li raggiungeranno. La popolazione africana è giovane; quindi, le uscite dalla multisala Africa saranno relativamente poche cosicché il numero di sedie che i gestori della multisala dovrebbero creare per colmare la differenza tra coloro che arrivano e coloro che escono è tanto elevata da non essere raggiungibile, neppure nelle condizioni economiche più favorevoli che si possano immaginare. È quindi normale che alcuni giovani, i più coraggiosi e capaci, capendo che la loro probabilità di trovare lavoro nel loro paese è estremamente

ridotta e/o non tollerando le condizioni in cui debbono vivere ed i rischi che debbono correre guardino al di là del mare. Vedendo che la multisala Europa non riesce a trovare un numero sufficiente di spettatori decideranno allora di cercare di raggiungerla in tutti i modi.

Italia, Francia, Germania, Spagna, EU 27, Regno Unito, Africa; popolazione in età lavorativa; 2020 e 2050; valori assoluti e variazioni assolute in migliaia, variazione percentuale

Popolazione in età avorativa
Italia Francia Germania Spagna Totale Altri 23 EU27 Regno Unito
2020 37.943 39.560 53.568 31.228 162.299 123.614 285.913 42.575
2050 25.476 35.446 40.663 21.975 123.559 97.869 221.429 37.986
Var. Ass. -12.468 -4.114 -12.905 -9.253 -38.740 -25.745 -64.484 -4.589
Var. % -32,9 -10,4 -24,1 -29,6 -23,9 -20,8 -22,6 -10,8

A questo punto avrete capito che la mia spiegazione dei flussi migratori è una spiegazione da domanda. Io ritengo, cioè, che sia la carenza strutturale di lavoro, in presenza di una offerta illimitata, a spiegare la direzione dei flussi, ma che la loro dimensione sarà il risultato della interazione tra la sfera demografica che determina l’offerta e la sfera economica che determina la domanda.

Ora di fronte a questi dati viene spontaneo chiedersi quale senso abbia blindare le frontiere, spendere centinaia di milioni di Euro per pattugliare i mari, tenere i migranti che ci portano forze di lavoro indispensabili per il nostro mercato di lavoro in centri di accoglienza, o ancora peggio rinchiuderli per un anno mezzo in vere e proprie prigioni per poi rinviarli nei loro paesi; che senso abbia che i gestori della multisala Europa rifiutino l’ingresso a giovani che vogliono vedere lo spettacolo e che garantirebbero quindi la sopravvivenza della multisala? È come se impedissimo alle navi che ci portano fattori di produzione indispensabili per il nostro processo produttivo di raggiungere i nostri porti e rispedissimo al loro paese quelle che riuscissero ad arrivare. Per quanto riguarda poi la guerra agli scafisti, essa è il frutto della stessa impostazione che predica che per ridurre il consumo di droga basta perseguire gli spacciatori, dimenticandosi che il vero problema è la domanda.

E allora che fare? Il primo e forse il più difficile passaggio è quello di togliersi gli occhiale ed i paraocchi che portiamo ed indossare degli occhiali nuovi ricordandoci, come disse Frank Zappa, che la mente è come un aquilone, funziona solo se la si tiene aperta. I nuovi occhiali ci porteranno a concentrare l’attenzione su di noi, sul nostro fabbisogno e a capire che i migranti, siano essi potenziali rifugiati o migranti economici, non sono persone che scappano, ma persone che si muovono in maniera intelligente e coraggiosa verso i paesi nei quali vi è una carenza strutturale di manodopera.

Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che l’immigrazione è un fenomeno socialmente ed economicamente costoso sia per i paesi di destinazione, sia per i paesi di partenza. È quindi fondamentale che i paesi di destinazione adottino tutte le misure necessarie per ridurre il loro fabbisogno, operando sia sul lato dell’offerta, sia sul lato della domanda di lavoro. Allo stesso tempo le politiche migratorie non debbono essere predatorie, non devono, cioè, togliere ai paesi di partenza risorse umane indispensabili per il loro sviluppo. I nuovi occhiali ci permettono anche di capire che:

La miglior difesa contro l’immigrazione irregolare è una immigrazione regolare che elimini il fabbisogno.

Venendo agli aspetti operativi, io ritengo che per gestire i flussi migratori in maniera razionale ed umana la UE debba:

      1. Stimare, per tutti i paesi che la compongono scenari di fabbisogno di lavoro, per un periodo di 15-20 anni, e scenari più dettagliati, articolati per livello educativo e per professione, per 2, 3 anni.
      2. Identificare i possibili paesi di partenza.
      3. Definire con tali paesi flussi quantitativamente e qualitativamente coerenti con le esigenze dei paesi di destinazione.
      4. Cogestire il trasferimento dei migranti dal paese di origine al paese di destinazione, dando possibilmente la precedenza a coloro che sono rinchiusi nei tanti campi di rifugiati di cui è costellato il pianeta.
      5. Sovraintendere all’inserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro promuovendo, allo stesso

tempo, l’integrazione sociale delle loro famiglie.

La tesi da domanda ha alcune importanti implicazioni. La prima è che l’importazione di lavoratori è del tutto analoga alla importazione degli altri fattori di produzione. Pertanto, è economicamente corretto e doveroso che i paesi di arrivo remunerino i paesi di partenza per le competenze acquisite. Il modo più semplice per farlo è quello di fornire loro le risorse finanziarie, umane e organizzative necessarie per “produrre” persone con un livello educativo e formativo analogo a quello dei migranti. In sostanza

Non dobbiamo costruire muri ma scuole e centri di formazione

Così facendo non solo riconosceremmo il valore economico delle risorse umane che dreniamo dai paesi di partenza, ci garantiremmo migranti con le competenze di cui abbiamo bisogno, ma forniremmo ai paesi poveri le risorse umane necessarie per avviarsi lungo il difficile sentiero dello sviluppo economico e sociale.

Questa soluzione è vantaggiosa sia per i paesi di destinazione, sia per i paesi di partenza. Essa fornirebbe ai paesi ricchi le forze di lavoro indispensabili per continuare il loro sviluppo socioeconomico, contribuirebbe a contenere il calo demografico (che altrimenti rimarrebbe inevitabile per molti decenni), e a ridurre il processo di invecchiamento e quindi il carico finanziario degli anziani; darebbe ai paesi poveri la speranza di uscire dalla povertà riducendo il numero di nascite e l’offerta di lavoro, fornendo istruzione e formazione (i fattori chiave di sviluppo) e creando le premesse per rimesse che, se utilizzate correttamente, potrebbero favorire il loro decollo economico. Infine, l’esplosione demografica che sta per colpire l’Africa, se non sarà attenuata attraverso rilevanti flussi migrator, creerà le premesse per situazioni di povertà e disperazione che potrebbero generare ulteriori focolai di instabilità socioeconomica e politica e mettere ulteriormente in crisi la già precaria “pace” mondiale.


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