Una multa congelata di mille euro – il minimo previsto – e il riconoscimento di aver «agito per motivi di particolare valore sociale e morale». Roberto Saviano è stato “condannato con lode” dalla giudice del Tribunale di Roma. Giovedì 12 ottobre, in un’aula bollente di caldo e tensione, è andata in scena tutta la sproporzione di potere tra l’accusa e l’accusato, tra la presidente del Consiglio e uno scrittore. Un’«oltraggiosa prepotenza» – l’ha definita il Guardian -, l’ennesima prova che in Italia le leggi sulla diffamazione vengono usate «per intimidire e mettere a tacere le voci scomode». Se la stampa internazionale segue con attenzione e precisione questo processo, lo stesso non si può dire per gran parte della stampa nostrana che si limita a farne una rapida cronaca, non sempre puntuale. Non sono poche le “sviste” in questa vicenda. Uno dei più gravi, per esempio, è nell’ostinatezza con cui si continua a riportare l’uso della parola incriminata al singolare femminile. La diffamazione riguarda l’uso della parola «bastardi», usata al plurale contro chi conduce da anni campagne d’odio contro i soccorsi in mare. Un termine all’interno di un ragionamento e mai al singolare, mai «bastarda» diretta contro la singola Giorgia Meloni. Eppure buona parte della stampa, in buona o cattiva fede, continua a riportarla al singolare femminile, di fatto adottando la posizione dell’accusa e contribuendo a manipolare la realtà. Una condanna con lode, dunque. Non è una sconfitta, non è una vittoria. Non è una sconfitta una multa ridotta a un decimo rispetto alla richiesta della procura di Roma. Il pm ha parlato di «lieve entità», chiedendo una condanna a 10mila euro perché «quell’espressione non si può usare in nessun contesto». L’avvocato di Meloni, poi, ne aveva chiesti addirittura 75mila, manifestando apertamente la strategia tipica nelle querele temerarie: colpire il patrimonio personale del malcapitato. Non è una vittoria quando il diritto di critica viene sanzionato, che sia pure di un solo euro. L’Italia continua a essere il Paese in cui i politici possono insultare e mentire impunemente, facendosi scudo dell’immunità parlamentare mentre impongono il silenzio a qualunque critica o dissenso. Siamo davanti a un classico esempio di Slapp (Strategic lawsuit against public participation), ovvero a una delle troppe cause legali che non hanno l’obiettivo di vincere ma quello di intimidire, scoraggiare, togliere tempo, serenità, soldi. Oggi Roberto Saviano è il corpo su cui si scrive un messaggio diretto a tutte e tutti noi: il pensiero critico deve tacere. In altre parole: fatti i fatti tuoi. Il potere giudiziario, chiamato a «delimitare il perimetro entro cui è possibile criticare il potere politico», sembra rispondere: Vorrei, ma non posso. Una condanna “con lode” non frena la corsa della democrazia verso la deriva autoritaria, ma incoraggia a non smettete di protestare, dissentire, porre domande, mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. A essere quelle «voci fuori dal coro» per “Dare voce a chi non ha nessuna possibilità di pronunciarsi”.
(Disegno di Alekos Prete)