La scelta del periodo unico di valutazione al Liceo Bottoni con conseguente “abolizione della pagella del primo quadrimestre” ha scomodato addirittura i vip del giornalismo italiano, come il sempre attento Gramellini che ancora una volta non manca di esprimersi su scelte educative ed elargire giudizi morali (conservatori).
La notizia è comparsa su varie testate nazionali con un ragguardevole apparato di errori, imprecisioni, notizie false e titoli clickbait e ha subito scatenato un’ondata di commenti indignati per il “rammollimento” della scuola, pronta ad adeguarsi a una generazione di giovani smidollati e capricciosi (questo il senso generale).
Da docente fiera di insegnare al Bottoni, desiderosa di trasformare in meglio la scuola, innamorata del proprio lavoro e fiduciosa che le sperimentazioni didattiche siano, tendenzialmente, un bene (si può sempre tornare indietro), faccio alcune brevi considerazioni.
1. Le motivazioni della scelta del periodo unico sono variegate e complesse (oltre che ragionate e discusse collegialmente). Ma anche qualora si riducessero all’unica che viene citata (diminuire lo stress degli studenti), francamente non capisco cosa ci sarebbe di male. Lo stress non è funzionale al lavoro. Lo stress non fa prendere voti più alti. Lo stress non prepara alla vita, anzi la peggiora e la accorcia. Quest’idea che la scuola funzioni solo se è stressante è ideologica e menzognera. Basta stare un solo giorno in classe per rendersene conto, senza doversi leggere la letteratura psicologica e pedagogica di decenni.
2. L’effetto sul lavoro degli studenti del periodo unico è esattamente l’opposto di quello che si teme, cioè che smettano di studiare “perché non c’è la pagella”. Non sono state abolite valutazioni, autovalutazioni, riscontri, prove di verifica, esercitazioni etc. I voti sono rimasti e sono visibili tutto l’anno sul registro elettronico. Semplicemente tutto quello che accade tra settembre e gennaio sarà in qualche modo preso in considerazione nella valutazione finale di giugno, dando più spazio e valore all’intero percorso annuale degli studenti e non semplicemente al lavoro di quattro mesi. In che modo questo spingerebbe gli studenti a studiare di meno?
3. In alcune classi e limitatamente ad alcune materie è stata avviata una sperimentazione, in collaborazione con l’Università Bicocca, per la sostituzione del voto numerico con un un lavoro strutturato di riscontri descrittivi, personalizzati e funzionali alla crescita educativa. In che modo questo offende il fare seriamente scuola? È meno serio chiedere allo studente di comprendere le ragioni per cui non è riuscito a svolgere un certo compito invece che mettergli 3 e ripetergli a pappagallo quello che deve fare? È un invito alla pigrizia l’invito all’autocritica e al ragionamento sul proprio operato?
4. Educare può essere un esercizio di potere (così lo intendono in molti) o un un percorso condiviso di emancipazione e crescita. La seconda strada è più difficile e richiede di mettersi in gioco. Siamo sicuri che sia meno fragile un adulto che premia e punisce (magari con un “8” o un “3”), dalla sua posizione di autorità, rispetto a un adulto che rifiuta mezzi semplici di coercizione e sottomissione per mettersi sul piano del rispetto, del dialogo, della ragione critica e della maturazione condivisa?
Sonia Ghidoni, docente di Filosofia e storia
Liceo scientifico statale “P. Bottoni” – Milano