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“Non può esservi impunità sulla tortura”. Ecco perché la Corte Costituzionale ha sbloccato il processo Regeni

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Non può esserci immunità per il reato di tortura: questo il principio in base al quale la Corte Costituzionale, come si evince dalle motivazioni da poco pubblicate,  ha di fatto sbloccato il processo ai quattro agenti dei servizi egiziani per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni. Dunque il “dovere di salvaguardare la dignità umana” impone allo Stato italiano di accertare con un processo se sia stato commesso da parte di agenti pubblici il reato di tortura che ha una “radicale incidenza” proprio su questo bene. Nella sentenza si sottolinea che “non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale” la paralisi senza fine del processo per l’impossibilità di notificare gli atti a causa della mancata cooperazione del Paese di appartenenza degli imputati”, perché questo ostacolo determinerebbe “un’immunità de facto” che offende la vittima, il principio di ragionevolezza e gli standard di tutela dei diritti umani recepiti e promossi dalla convenzione di New York. Con tale verdetto la Corte Costituzionale ha interrotto la stasi del processo per l’omicidio, il sequestro e la tortura di Giulio Regeni, sancendo che il giudizio davanti alla Corte d’assise di Roma a carico degli 007 egiziani si può e si deve celebrare, nonostante sia stato impossibile finora notificare loro gli atti a causa dell’ostruzionismo delle autorità del Cairo, che non hanno mai fornito i loro indirizzi. Adesso  il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Roberto Ranazzi, potrà disporre il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’assise di Roma per il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.
Si tratta di una svolta molto importante per la famiglia Regeni e per l’avvocata Alessandra Ballerini che si sono battuti per questo risultato e contro l’assurdo impasse provocato dalla impossibilità delle notifiche e dalla assenza di collaborazione dello Stato egiziano, che pure, in apparenza, conserva rapporti di grande cordialità con l’Italia, su tutto tranne che su questa storia.


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