Il tentativo di normare «la diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di diffusione» ha avviato il suo iter parlamentare per la quinta legislatura di seguito. La commissione giustizia del senato ha votato a maggioranza il cosiddetto testo base, che ha come primo firmatario Alberto Balboni di Fratelli d’Italia. Vi erano altri progetti assai migliori (del partito democratico e di 5Stelle, ad esempio), ma la destra ha fatto valere i suoi numeri e così quello sarà il punto di riferimento del dibattito e per gli eventuali emendamenti. Su tale delicatissimo argomento oggi si tiene presso la sede dell’ordine nazionale dei giornalisti una conferenza stampa promossa insieme alla federazione della stampa. L’articolato di riferimento è davvero imbarazzante, oltre che in vari punti sbagliato. Mentre si fa sempre più insistente il ricorso alle querele temerarie (o persino agli annunci di azioni, come avviene di consueto con le trasmissioni di Report) contro chi cerca di svelare verità scomode o critiche verso governo e affini, su tutto ciò il disegno n.466 è debolissimo e quasi inesistente. E dire che si mettono in atto costantemente censure preventive con richieste milionarie di risarcimento economico, impedendo il libero esercizio del diritto di cronaca in un settore popolato prevalentemente da precari senza tutele. I disegni dell’opposizione – invece- qualcosa scrivono al riguardo. Il testo elimina – è vero- la previsione della pena del carcere, come in alcuni dei precedenti tentativi era già stato tentato, ma rimane l’odiosa multa che può arrivare fino a 50.000 euro. Per chi guadagna davvero due soldi ad articolo significa una condanna senza via d’uscita. Insomma, per sostituire la rarissima detenzione dietro le sbarre si introduce una sorta di classismo della pena. L’effetto è deleterio e non ha neppure qualche virtù garantista. Non solo. Si riprende l’antica smania di considerare la rettifica una sorta di versetto sacrale: guai a chi la tocca e osa commentarla. In tal modo si incrina un tratto fondamentale della professionalità, in cui il dialogo con i soggetti della fruizione è fondamentale. Una ciliegina sulla torta avvelenata: chi non ottempera adeguatamente incorre in una sanzione che arriva a 51.646 euro. Ancora. La competenza per i giudizi cade nel luogo della persona offesa. Visto che lo spettro applicativo della disciplina riguarda pure i servizi on line, si potrebbe ipotizzare che entrino in scena amene località situate in isole lontane. La rete non risponde al criterio analogico dello spazio, com’è noto. Se si svolge una disamina di maggiore accuratezza, ma il prodotto non cambia. Un approfondimento merita, poi, il punto dedicato al segreto professionale, che contiene una cospicua dose di ambiguità. Così il disegno di legge non è accettabile e servirebbero significativi emendamenti per renderlo meno brutto. Del resto, la democrazia parlamentare si fonda proprio su questo. Ma la destra accetterà di discutere o si accontenta di avere scritto un segnalibro a futura memoria? È auspicabile che il confronto con categorie e associazioni interessate varchi la soglia dei doveri burocratici ed entri nel vivo di una questione diventata enorme, vista la concorrenza contemporanea tra vero, falso e verosimile. Ed è altrettanto importante che su un capitolo cruciale si formi un comune sentire tra le differenti anime del fronte progressista. Se ciò avvenisse, neppure una destra dura e cattiva avrebbe vita facile. Si chiacchiera e si scrive su ipotetiche ritorsioni di Fratelli d’Italia contro Mediaset dopo i fuori onda che hanno coinvolto l’ex compagno della presidente del consiglio. Sembra improbabile, perché le aziende berlusconiane sono parte integrante della maggioranza. Ma a pensar male a volte si indovina, visto che non mancano territori ispidi per il biscione: dagli obblighi di produzione di film e audiovisivi italiani ed europei (oggi con percentuali inferiori rispetto alla Rai), alla definizione della prominence, come è chiamata la numerazione dei canali nelle smart tv, dove Mediaset rischia non poco.