Signor Lattes, il 16 ottobre 1943 rappresenta per lei una data memorabile e decisiva per la sua esistenza. Vuole raccontarci la sua storia?
Avevo appena un anno di età e mio malgrado e a mia insaputa sono stato protagonista di una storia più grande di me, vittima e protagonista di una storia memorabile. Le cose accadono per eventi fortuiti o per destino, per un disegno invisibile che ci conduce per mano al compimento della nostra vita. Un labile soffio che può diventare morte, perdizione o salvifica resurrezione.
Non posso iniziare la mia storia se non parlando dei miei genitori. Mio padre Leone Lattes era un ebreo di origini toscane, membro della regia aeronautica sotto il regime fascista. Dopo le leggi razziali venne espulso dalle forze armate e dovette rassegnarsi ad una vita illegale, facendo la borsa nera. Il 7 aprile del 1941 sposò mia madre, Regina Ascarelli. Poco più di un anno dopo nacqui io.
Torniamo al 16 ottobre del 1943…
Alle 5:30 del mattino squilla il telefono di casa di mia zia, un’abitazione al quarto piano di un palazzo in viale Angelico angolo viale Mazzini, dove ci eravamo rifugiati. Dopo il 1938, infatti, la serenità per gli ebrei era finita. L’antisemitismo si era fatto pesante e diffuso. Ci dicono di scappare perché è iniziata una vasta razzia di ebrei a Roma. I miei genitori, a causa del mio pianto che ha fatto loro perder tempo nei preparativi per scappare, vicino al portone, si sono fermati davanti al portiere il quale, dopo averli bloccati dice: “ Fermi, non proseguite, i tedeschi sono a 100 metri da qui”. Il portinaio ci consiglia di scendere due rampe di scale, per raggiungere un piccolo sgabuzzino, dicendoci che lì qualcuno ci avrebbe dato una mano. Una volta arrivati, l’uomo sconosciuto dice a mio padre di fare silenzio e di mettermi la mano davanti alla bocca per evitare di far sentire ai tedeschi il mio eventuale pianto. Intanto i nazisti arrivano all’entrata del palazzo; due si posizionano davanti al portone di casa e altri due, insieme ad un fascista, salgono al quarto piano; bussano all’appartamento di mia zia, ma nessuno apre. Nel frattempo il portiere scende sotto lo sgabuzzino dove siamo nascosti e bussa: è un segnale che ci avverte che i tedeschi si stanno allontanando dal palazzo. Il signore, che è sotto lo sgabuzzino con noi, rivolto a mio padre, dice: “Metta suo figlio sul collo e mi segua”. Mio padre risponde: “ Ma dove? Qui ci sono sei metri quadri e non c’è nessuna uscita “. In fondo alla parete c’è un manifesto della razza che raffigura Hitler in primo piano, Mussolini in secondo piano e l’ebreo con le sembianze di un serpente che viene calpestato dal dittatore tedesco. La storia si fa beffe delle intenzioni degli uomini: noi fummo salvi grazie a un manifesto che illustrava la superiorità della razza e la ferocia antisemita del nazi- fascismo.
Infatti dietro a quel grosso poster c’era un buco che probabilmente era utilizzato prima della nostra fuga per permettere agli antifascisti e ai partigiani di scappare e di nascondersi. Quel varco era collegato con le fogne dove noi quindi siamo finiti. Le fogne di allora non sono paragonabili a quelle di oggi fatte con tubi piccoli; erano grandi e di pietra. Un po’ carponi e un po’ strisciando, avanziamo per due ore e sbuchiamo sulle pendici di Monte Mario, dopo che la persona che ci fa da guida, che era particolarmente robusta, dà una grossa botta a un tombino di ferro, per aprirlo. A Monte Mario siamo rimasti per tutta la mattina del 16 ottobre e per tutta la notte seguente.
Dopo quella drammatica notte, dove siete andati? Che cosa ricorda e che cosa le hanno raccontato i suoi genitori?
Nei giorni successivi troviamo rifugio presso la famiglia di alcuni amici cattolici. Li raggiungiamo con molto imbarazzo perché, quando ci dicono di salire, mio padre fa notare che eravamo letteralmente coperti di escrementi, sudici e inavvicinabili. Ci gettano dalla finestra degli asciugamani per darci una ripulita almeno superficiale. A volte mi sembra di ricordare il tanfo soffocante della fogna. I miei genitori hanno vissuto con la paura che avessi contratto qualche malattia infettiva nel corso di quelle due ore di permanenza nelle fogne, dove passava di tutto: topi, scarafaggi, escrementi, resti di animali e di uomini. A causa di quella traversata alcuni parassiti sono entrati nella mia testa e, dall’età di settant’anni, ho cominciato a sviluppare delle forme di cheratosi e molti melanomi, che periodicamente faccio controllare dal medico e, in alcuni casi, faccio rimuovere con un piccolo intervento chirurgico.
Una volta salvi dalla razzia del ghetto, la vostra vita è stata più tranquilla?
In realtà dopo il 16 ottobre del 1943 per gli ebrei la vita non fu affatto facile. Continuarono gli arresti e le delazioni. Un bambino ebreo valeva 1500 lire, una donna 3000 lire , un uomo, in base alle sue condizioni fisiche, fino a 10.000 lire. Non erano cifre irrisorie se si pensa che potevano bastare a comprare un appartamento. Molti di noi sono riusciti a sopravvivere grazie ai documenti falsi. La mia famiglia, ad esempio, aveva provveduto a questo. Io avevo una carta di identità a nome di Attilio Lattanzi, non Lattes.
Questo bastò a mettervi al riparo dagli arresti?
Con i nazisti e i fascisti non si poteva mai stare tranquilli. Anzi, io mi sono salvato grazie alla sagacia, all’intelligenza e alla premura di mia madre. Ecco perché ai giovani che incontro nelle scuole dico: abbiate cura dei vostri genitori, che spesso tracciano il sentiero della libertà e sono motivo di protezione. Senza l’intelligenza di mia madre io non sarei qui a raccontare questa storia terribile. A piazza Mazzini un giorno venimmo fermati dalle SS tedesche che volevano portarci presso la Gestapo, in via Tasso. Mi calarono i pantaloni per verificare la circoncisione e identificarmi come ebreo, ma per fortuna, prevedendo il peggio, mia madre si era fatta fare da un medico cattolico un certificato dal quale risultava che avevo subito nei genitali un intervento chirurgico per un problema di salute.
Che cosa può dirci di altre famiglie ebree. Ci sono altre storie a lieto fine come la sua?
Dall’ottobre del 1943 al gennaio del 1944 abbiamo peregrinato per Roma alla ricerca di protezione e di rifugio. Abbiamo trovato riparo presso un istituto religioso in via Merulana, sino all’arrivo degli americani siamo rimasti nascosti presso alcune famiglie cattoliche in via della Giuliana, nel quartiere Prati, a piazza Bologna, in via Nomentana e a corso Trieste. Quella mattina del 16 ottobre altre persone ebree come noi sono riuscite a sfuggire alla razzia. Ad esempio alcuni uomini, avendo desiderio di fumare, uscirono di casa prima che le SS entrassero nel ghetto e iniziassero ad arrestare tutti. Le sigarette hanno salvato loro la vita.
I pochi ebrei che si sono salvati, tra quelli che abitavano nella zona del ghetto, sono quelli che abitavano sul Lungotevere, perché gli ebrei che abitavano dalla parte di largo Argentina, vedendo i camion di tedeschi che si apprestavano a fare il rastrellamento, hanno cominciato ad urlare invitando gli altri a mettersi in fuga.
Signor Attilio, nei suoi occhi, come negli occhi di altri testimoni, si vede la luce della verità, della dignità. La storia ha dato ragione a chi sembrava vinto e sconfitto. Ha dato ragione non all’orrore del sopruso ma alla forza della giustizia e del diritto. Ma le chiedo: come spiega oggi i rigurgiti di fascismo? Sembra che la memoria sia stata cancellata …
Per me è entusiasmante portare la mia testimonianza presso le scuole e parlare con le giovani generazioni. Raccontare la fuga di un bambino permette anche ai più giovani di immedesimarsi nella storia di Attilio e di capire, quasi in prima persona, la paura, l’angoscia e la sofferenza di chi, senza poter comprendere, si trova a sfuggire ai propri carnefici.
La risposta alla domanda che mi ha fatto per me è semplice e cerco di chiarirla ai più giovani nelle scuole: la violenza dell’uomo sull’uomo, oggi come ieri, deriva da interessi economici, dall’avidità e dalla necessità di fare propaganda politica e costruire consenso.
Nato a Roma il 15 settembre 1942, Attilio Lattes ha raccontato la sua straordinaria vicenda nel libro Il bambino nascosto a Roma, Congedo editore, Lecce 2020
(Nela foto Attilio Lattes)