Hanno combattuto a suon di comunicati stampa e interrogazioni consiliari, sono scese in piazza, hanno organizzato una resistenza pacifica per più giorni ma, alla fine, hanno perso. Sono uscite, per ora, sconfitte le donne del centro Lucha y Siesta di Roma, definito poche ore fa dal Presidente della Regione Lazio, l’emblema delle occupazioni abusive che d’ora in poi non saranno più consentite. Il luogo che per 15 ani ha accolto donne vittime di violenza e i loro figli, le ha aiutate a denunciare, ad andare avanti, a sopravvivere, dunque, chiude. Lo stabile divenuto rifugio essenziale contro la violenza domestica si trova all’interno di uno stabile dell’Atac nel VII Municipio della capitale. Era stato preso in carico e riadattato dalle volontarie nel 2008. Poche ore fa sono stati revocati, con atto della Giunta regionale, lo schema di convenzione con l’associazione Casa delle donne Lucha y Siesta e la concessione in comodato d’uso gratuito. “Un atto dovuto per eliminare uno stato diillegalità”, hanno detto l’assessore alla Cultura, alle Pari opportunità, alle Politiche giovanili e della Famiglia, al Servizio civile, Simona Renata Baldassarre, e l’assessore alla Mobilità, ai Trasporti, alla Tutela del Territorio, al Ciclo dei rifiuti, al Demanio e Patrimonio, Fabrizio Ghera. Le attiviste del centro nei giorni scorsi avevano stigmatizzato il modus agendi della Regione che aveva annunciato le revoca a mezzo stampa, senza alcuna interlocuzione e per questo hanno già annunciato battaglia. Un duello civile, legale ma senza sconti.
“La Regione non toglie nulla a nessuno: si tratta di un atto dovuto. La delibera di Giunta, approvata oggi, è importante per dare il via a un percorso di riqualificazione e di ripristino della legalità in più step. L’immobile si trova in una condizione di inidoneità igienico-sanitaria certificata e alla quale dobbiamo porre rimedio per dare una accoglienza dignitosa e a norma di legge. L’Area Pari opportunità e la direzione regionale competente in materia di patrimonio attueranno le misure transitorie più idonee volte a salvaguardare e tutelare la sicurezza delle donne e dei minori accolti nell’immobile, attraverso il ricollocamento presso strutture antiviolenza appartenenti alla rete regionale, di concerto con Roma Capitale”, dicono gli assessori. Eppure qualcosa in questa storia non torna perché le volontarie di Lucha y Siesta non sono state nemmeno ricevute dal Presidente della Giunta e perché i centri anti violenza e case rifugio a Roma e nel Lazio sono troppo pochi rispetto ai dati in crescita delle violenze domestiche e delle donne che, in realtà, non sanno dove andare e non ricevono assistenza adeguata nella rete istituzionale, quindi la presenza di altri luoghi mantenuti da attivisti sarebbe indispensabile, da aumentare anziché tagliare.
“Non possiamo fare a meno di Lucha y Siesta: in quel giardino si compone un percorso di antiviolenza collettivo. Tutto questo non si può cancellare con una delibera”, ha detto la consigliera Marta Bonafoni.
“E’una scelta incomprensibile, – aggiunge la consigliera Eleonora Mattia – non solo perché si va a colpire un esempio virtuoso di gestione partecipata tra società civile e Istituzioni, che è ormai parte integrante della comunità locale, ma anche perché risulta un inutile accanimento e spreco di energie dell’Amministrazione regionale, soprattutto se si considera lo scenario nazionale, e regionale, in cui femminicidi e violenza di genere sono ormai un’emergenza quotidiana”.
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(Nella foto uno degli ultimi sit in)