Ritornavo sempre lì da dove ero partita. Ero l’orfana, la bambina abbandonata e affidata allo zio. Tormentata dai sensi di colpa per aver odiato mia madre e non aver amato abbastanza lui che mi aveva salvata. Non avevo mai perdonato. Conta poco o niente chi sei diventata. Il passato ti definisce e se non hai sciolto i nodi ti fissa in quella forma che hai rifiutato. Ero un disegno fuori dai margini”. A parlare è Cenzina, protagonista de’ “La guerra non torna di notte” (Solferino editore) della scrittrice napoletana Enza Alfano. Un romanzo storico, ma anche una storia familiare (la figura della protagonista è ispirata a quella della nonna dell’autrice) e quanto mai attuale, che per spessore umano e civile, ha aperto, lo scorso 26 settembre la rassegna Resistenza / Resistenze organizzata dall’Anpi per gli ottant’anni delle Quattro Giornate di Napoli.
Ne parliamo con Alfano, insegnante di materie Letterarie e Latino, giornalista per il «Corriere del Mezzogiorno»; conduce , tra l’altro, l’Officina delle parole, laboratorio di scrittura creativa. È curatrice di antologie in cento parole per L’Erudita. Il suo penultimo libro, “Perché ti ho perduto”, diventerà uno sceneggiato per la regia di Roberto Faenza.
Le Quattro Giornate di Napoli compiono ottant’anni, che effetto le fa con la presentazione del suo libro “La guerra non torna di notte” diventare nel programma dell’Anpi, in un certo senso, simbolo di queste importanti iniziative?
Sono molto lusingata dal fatto che il romanzo è in qualche modo diventato un involontario manifesto d’impegno civile.
Quando ho iniziato a scrivere questa storia non avevo calcolato – non era prevedibile – la fortunata coincidenza della sua uscita con questo importante anniversario. L’inserimento nel programma dell’Anpi è una significativa attestazione del ruolo delle donne nella resistenza napoletana che ho sentito la necessità di raccontare.
Cenzina, la protagonista del suo romanzo storico, che poi è anche un personaggio ispirato a sua nonna, è una sorta di coraggioso “eroe per caso”: oggi quanto c’è bisogno di eroi?
Anche se non si è mai sentita un’eroina, Cenzina di fronte alla scelta non si è interrogata sull’opportunità di rischiare ma ha seguito il dettato della sua coscienza. La necessità di atti eroici denuncia una condizione di crisi o difficoltà in cui soltanto azioni rischiose o esemplari possono provocare un auspicato cambiamento. Purtroppo, anche se a distanza di anni, nella realtà contemporanea si ravvisano forti criticità che solo condotte eroiche possono risolvere. Spero che in futuro ci siano meno eroi e più giustizia.
Cenzina salva due giovani ebrei polacchi durante la Seconda Guerra mondiale: chi verrebbe oggi a bussare alla sua porta?
Le donne vittime di violenza, i migranti, i bambini dei quartieri a rischio, gli indigenti.
Di questi giorni la notizia che al Campiello vince una donna (Benedetta Tobagi), con un romanzo storico: come spiega il fatto che in Italia e all’estero c’è questa tendenza editoriale a far rivivere epoche passate?
Le donne fanno sentire la loro voce. Siamo di fronte a una generazione di narratrici che finalmente riesce a imporsi. Il libro di Benedetta Tobagi è un libro importante, scritto da una donna per raccontare le donne, il loro coraggio, l’eroismo femminile. Anche questa, dunque, una fortunata coincidenza per me, che mi ha molto emozionata. La tendenza al romanzo storico credo possa spiegarsi come necessità di tornare al passato per comprendere meglio fenomeni che contro ogni logica si stanno riproponendo nel nostro presente. Abbiamo tutti indubbiamente un guasto di memoria che va riparato.
Gli scrittori contemporanei stanno avvertendo l’esigenza di tornare a un certo “impegno” senza che questa parola ci spaventi. Abbiamo bisogno di ricordare per comprendere e curare. È uno sforzo collettivo in cui la letteratura può avere un ruolo importante.
Un suo libro, “Perché ti ho perduto”, diventerà a breve uno sceneggiato per la regia di Roberto Faenza. In quel caso ricostruisce lepieghe più nascoste della vita di Alda Merini, come sarà rappresentata la poeta sul piccolo schermo?
Il Maestro Faenza ha ricostruito in maniera rigorosa e completa la biografia di Alda Merini in uno sceneggiato molto commovente in cui la complessità e i tormenti della poetessa vengono esplorati in profondità, soffermandosi sull’esperienza manicomiale come punto di svolta e chiave interpretativa della sua vita e della sua produzione poetica. Ci ritroveremo di fronte a una donna autentica, fragile e forte, innamorata e tiranna, lucida e folle.
Lei è insegnante, che cosa vuol dire lavorare in scuole di frontiera, in luoghi come Scampia, Caivano?
Costruire la speranza, offrire una possibilità, indicare una direzione altra. In queste realtà davvero “l’ora di lezione”, citando Recalcati, può cambiare una vita.
I suoi progetti per il futuro.
Tante letture. Un nuovo romanzo.