La luce del deserto dove sorge Asteroid City non è né calda né fredda bensì neutra, un’irradiazione solare uniforme ricreata in vitro, priva di ombre quanto di eccessi perpendicolari. Il motel, la stazione di servizio e il Caffè – un diner dove vengono serviti cold drinks, chicken fried e latte alla fragola – sono mostrati in una prospettiva frontale che acuisce la sensazione di ordine, simmetria e staticità. Gli avvenimenti si succedono su uno sterminato palcoscenico che dilagando assume l’aspetto di uno studio cinematografico d’altri tempi, mentre prende forma un’infanzia del pensiero sottilmente malinconica dalla quale scaturiscono colori pastello che ricordano le palline di chewing gum degli anni ‘50 e ‘60, formazioni montuose fumettistiche dalle rocce bulbose, assorti notturni cobalto alla Bradbury e grandi sandwich artificiosamente soffici.
E’ in corso la celebrazione annuale di un evento storico per il microscopico agglomerato di edifici, ossia la caduta di un meteorite in anni non si sa se prossimi o remoti. Davanti a ufficiali dell’esercito, notabili, genitori, nonché un’astrofisica interpretata da Tilda Swinton, bambini e ragazzi esibiscono progetti e invenzioni scientifiche surreali, e tutti quanti rendono omaggio al cratere scavato dal piccolo reperto extraterreste.
Ad Asteroid City confluiscono anche un vedovo munito delle ceneri della moglie raccolte in un contenitore portapranzi e accompagnato dalla prole estrosa: un adolescente geniale nonché tre bimbette convinte di avere poteri magici – una delle quali si dice reincarnazione di una mummia egizia dalla testa mozzata –, più un’attrice preda dello spleen al seguito della figlia “scienziata” in erba, in grado di far crescere le piante a velocità inaudita (purtroppo il procedimento ha la pecca di farle diventare velenose).
Nonostante la luce verde smeraldo del disco volante, tanto simile a un raffinato giocattolo, la silhouette smilza e nera dell’alieno dai grandi occhi sporgenti, le situazioni farsesche create dall’ottusità militare, non prevale mai il tono faceto. Si allarga invece in cerchi concentrici, a poco a poco, la commistione antica fra rappresentazione e vita, fra personaggio e attore, percorsa dalla coscienza che tutto si stia sfaldando, poiché non esiste più niente da cui scappare, niente da costruire e da vivere. La morte non può inverarsi neppure come finzione, precludendo la possibilità di diventare almeno dei fantasmi. Ciò che sorprende è la grazia sommessa con cui Anderson mostra il proprio disincanto fra pause dialogiche, laconicità e pensiero magico – giocando anche con le movimentate controscene in bianco e nero che si svolgono nei camerini e nel retropalco (quanto vediamo non è che uno spettacolo teatrale), dove imperversa uno splendido Adrien Brody – arrivando a creare il più intenso e sincero dei suoi film.
Dopo lo smontaggio delle scene e la partenza dei protagonisti, un delizioso Beep Beep meccanico entrerà in campo a consolarci e ribadire, sulle note di Freight Train, che la vita, il più delle volte, non è una cosa seria.
ASTEROID CITY
Lingua originale | inglese |
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Paese di produzione | Stati Uniti d’America, Germania |
Anno | 2023 |
Durata | 105 min |
Dati tecnici | B/N e a colori rapporto: 2,35:1 |
Genere | commedia, sentimentale |
Regia | Wes Anderson |
Soggetto | Wes Anderson, Roman Coppola |
Sceneggiatura | Wes Anderson |
Produttore | Wes Anderson, Jeremy Dawson, Steven Rales |
Produttore esecutivo | Christoph Fisser, Henning Molfenter |
Casa di produzione | American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Studio Babelsberg |
Distribuzione in italiano | Universal Pictures |
Fotografia | Robert D. Yeoman |
Montaggio | Barney Pilling |
Effetti speciali | Pau Costa, Franz Brandstaetter, Anthony Lyant |
Musiche | Alexandre Desplat |
Scenografia | Adam Stockhausen |
Costumi | Milena Canonero |
Interpreti e personaggi | |
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