Lirio Abbate è uno dei giornalisti d’inchiesta maggiormente esposti nell’analisi delle mafie. Oltre cinquanta primavere sulla pelle – che è il suo taccuino –, passate nelle redazioni più roventi dello Stivale. Esperto della storia e dei meccanismi di Cosa Nostra, abbiamo avuto un intenso confronto in occasione della rassegna intellettuale Conversazioni Sul Futuro a Lecce. Abbiamo parlato del suo ultimo saggio: Stragisti. Da Giuseppe Graviano a Matteo Messina Denaro. Uomini e donne delle bombe di Mafia (Rizzoli). Pagine dolorose per il popolo italiano, ma necessarie: ripercorrono, attraverso una narrazione vibrante, gli anni delle Stragi e degli attentati eccellenti – quelli di Falcone e Borsellino andati a segno e gli altri falliti, come a Maurizio Costanzo –, offrendo al lettore storie segrete e documentazione inedita della guerra Stato-mafia. Il puzzle investigativo entra nell’anima oscura di Totò Riina, di Matteo Messina Denaro e dei fratelli Graviano, quest’ultimi diventati clamorosamente padri durante la detenzione al 41bis. Uno spazio particolare è riservato a profili di donne inaspettate, che portano il codice mafioso a camminare per i quartieri anche se i capimafia sono dietro le sbarre.
Intervista
La storia di Nunzia, sorella dei fratelli Graviano, fa luce nel suo libro su personaggi inaspettati fuori dai riflettori nella lotta Stato-mafia. Qual è stato il ruolo delle donne in Cosa Nostra?
«Le donne sono depositarie dei segreti e custodi dell’unità familiare, appoggiano in tutto e per tutto mariti, figli e fratelli che fanno parte di Cosa Nostra. Nunzia Graviano è una figura femminile molto diversa dalle mogli dei boss, alle quali viene chiesto solo assoluta fedeltà e amore incondizionato per il marito. E molto diversa dalle donne che ho voluto raccontare nel mio Fimmine Ribelli, il libro che ha ispirato il film Una femmina, diretto da Francesco Costabile. Lì descrivevo donne forti, capaci di spezzare le regole della criminalità e andare contro a un codice d’onore antiquato e tossico, a costo di rompere tutti i legami, tutte le consuetudini. A costo di pagare il prezzo più alto. Per Nunzia Graviano si potrebbe dire il contrario. Anche lei è una donna forte, questo è fuori di dubbio. Com’è fuori di dubbio che abbia delle capacità e anche il coraggio per sfruttarle, ma si adegua al codice perverso, il mondo retrivo e malato della mafia».
Il 16 gennaio 2023, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, lo Stato e gran parte dell’opinione pubblica hanno festeggiato, dimenticando come i segreti dell’agenda rossa di Borsellino siano sepolti sotto tonnellate di omertà. Riusciremo mai a ricostruire la piena verità sulle stragi del 1992 o è troppo tardi?
«Giuseppe Graviano e gli uomini di Cosa Nostra più di trent’anni fa hanno mostrato di agire con una finalità non solo di terrorismo politico, ma anche di eversione dell’ordine democratico per destabilizzare e compromettere la funzione propria dello Stato nella sua essenza unitaria, scatenando disordine e panico in tutta la nazione. E a oggi non è stata accertata tutta la verità su quegli anni. Uno dei principali responsabili dello stragismo, Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza è stato arrestato ed è morto pochi mesi dopo portando con sé tutti i segreti dei corleonesi. Adesso è troppo tardi per avere una risposta giudiziaria: il tempo logora i ricordi e sempre più spesso le prove su cui si basano i processi».
Il Procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, fa tenere alta l’attenzione sui meccanismi mafiosi, poiché la Commissione della consorteria siciliana ha già passato il testimone del potere a nuovi protagonisti. Secondo lei, oggi le mafie sono più dure da estirpare? Data la natura invisibile, non stragista, legata in maniera più forte alla massoneria deviata.
«Occorre capire cosa è oggi la mafia: documentare com’è cambiata e come può essere svelata la sua invisibilità. Oggi viviamo un cambiato mafioso che già in passato, alcuni decenni fa, abbiamo visto in Cosa nostra, solo che lo abbiamo raccontato e processato molto tempo dopo, quando tutto era avvenuto. Troppo tardi».
Il ruolo della società civile risulta determinante nel giogo mafioso. La storia di Salvatore Baiardo docet, ospite da Giletti in Tv. Bisogna lavorare maggiormente sulle responsabilità e i rapporti del popolo italiano con la criminalità organizzata?
«La strategia mafiosa dell’infiltrazione nella società civile, inquinandola, nel provare a pilotare l’informazione, a manipolarla, è sempre stata una caratteristica di Cosa Nostra. Cambiano i tempi, i personaggi, ma il senso della prevaricazione non cambia. Il modo di deviare le cose non cambia. Ed è a questo modo di agire della mafia che dobbiamo stare in guardia».
Come possiamo difendere il 41bis, strumento necessario per il contrasto alle mafie?
«Occorre far comprendere che il 41bis è uno strumento indispensabile per combattere il potere dei padrini in carcere, evitando che possano continuare a comandare dalle celle. Il 41 bis è il carcere impermeabile. Non è il carcere duro. Penso che oggi il carcere duro lo fanno tutti i detenuti comuni che sono costretti a stare in pochi metri quadrati di celle con decine di altri detenuti, in condizioni igieniche al limite della civiltà. I boss invece vanno tenuti impermeabilizzati, evitando ogni loro contatto con l’esterno, e viceversa, Solo così si potrà neutralizzare un’organizzazione mafiosa verticistica e gerarchizzata».