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Genova, la vergogna e la giustizia

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Centinaia di migliaia di euro, quattro persone risarcite e una sentenza che non dà adito a dubbi: a Genova, nei giorni del G8, si consumò una mattanza, un’umiliazione della dignità umana senza precedenti e una violazione sistematica di ogni diritto che ancora, a ventidue anni di distanza, ci costringe a vergognarci agli occhi del mondo.
Teresa Treiber, Achim Nathrath, Anna Katharina Zeuner e Ian Farrel Galloway: questi i nomi delle parti offese, mirabilmente assistite dall’avvocato Dario Rossi, che ora saranno risarcite. Il giudice Pasquale Grasso ha scritto nella sentenza che quell’abisso ha causato alle vittime “dolore, vergogna, disistima di sé, paura e disperazione”. Soprattutto vergogna: la loro, immotivata ma comprensibile, e la nostra, provata da quell’ampia parte della società civile che fin da subito si è mobilitata per chiedere verità e giustizia ma mai, neanche un po’, da chi impartì determinati ordini, da chi rimase in silenzio, da chi produsse prove false e da una politica che, a destra come a sinistra, ha fatto poco o nulla per far luce sull’accaduto.
Se oggi non siamo costretti a camminare a testa bassa al cospetto del mondo, lo dobbiamo dunque alla dignità di chi non ha mai smesso di lottare per i propri diritti, ai PM che hanno combattuto in terra di frontiera, ad avvocati e avvocatesse del calibro di Rossi e a quella piccola parte dell’informazione che si è schierata “dalla parte del torto” fin dal primo giorno. Per il resto, acquiescenza, indifferenza, omertà, spirito di corpo, alcune sentenze più che discutibili e la continua e umiliante premiazione dei responsabili di un simile scempio.
Non è questo il tempo delle polemiche. Tutto ciò che doveva essere detto, ormai è stato detto, compreso che Genova costituisce, di fatto, la nostra Abu Ghraib.
Oggi, pertanto, possiamo solo prendere atto di una sentenza che allevia, sia pur in minima parte, il nostro senso di frustrazione e quello di chi in quei due inferni, Diaz e Bolzaneto ha subito botte fisiche e violenze psicologiche d’ogni sorta, dovendo poi ricostruire daccapo la propria esistenza.
Infine, una considerazione che non c’entra direttamente con Genova ma ne costituisce l’eredità migliore. Se oggi abbiamo il reato di tortura, lo si deve infatti alle conseguenze di quei processi. E grazie a quei processi, la Corte costituzionale, in riferimento alla tragica vicenda di Giulio Regeni, ha potuto dichiarare illegittimo l’articolo 420 bis, comma 3, del Codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice possa procedere in assenza per i reati di tortura di Stato cui fa riferimento la Convenzione di New York, specie se, come in questo caso, per via della mancata collaborazione delle autorità egiziane, non si può avere la prova che l’imputato, pur consapevole del procedimento, sia stato posto a conoscenza della pendenza processuale.
Grazie alla sentenza firmata dal giudice Stefano Petitti, la Corte quindi esclude che, in determinate circostanze, il giudizio, condotto in assenza degli imputati, configuri una violazione del principio del giusto processo. E così, in nome del “dovere di salvaguardare la dignità umana” e sancendo che “non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale”, la paralisi senza fine del processo per l’impossibilità di notificare gli atti per via della mancata cooperazione del Paese di appartenenza degli imputati, ora il GUP di Roma, Roberto Ranazzi, potrà riaprire il dibattimento, disponendo un nuovo rinvio a giudizio davanti alla Corte d’assise di Roma per il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.

Quando si tratta di tortura, non può esistere l'”immunità de facto” che offende la vittima, il principio di ragionevolezza e gli standard di tutela dei diritti umani recepiti e promossi dalla già citata Convenzione di New York.

Tutto questo, senza questi ventidue anni di processi genovesi, non sarebbe stato possibile. È chiaro, adesso, cosa accadrebbe se questo presidio minimo di civiltà fosse abolito?

 


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