Il suo nome significa feroce. Gaza. Oppure Gazza. Qui ha combattuto Alessandro Magno, che nell’assedio della fortezza di Gaza è stato ferito a una spalla e poi con Batis, comandante nemico, si è comportato come Achille con Ettore: l’avversario che non si è arreso viene trascinato con le caviglie legate da una corda sul campo di battaglia. Vivo. Ferocia da sempre, in queste terre. Da sempre anche qui si viene portati via come le ragazze che ballavano al rave organizzato così vicino alla striscia, caricate sulle spalle, da sempre i vestiti strappati, lo stupro e chissà che altro quando si compie il ratto. Vicinissimo a questi luoghi, sulle spiagge profumate del Libano, uno dei rapimenti più famosi del mito, Europa, figlia del re fenicio Agenore, portata via da Zeus sotto forma di toro candido. Il suo ratto ha determinato la nascita di qualcosa che sentiamo molto nostro: l’Europa. Principessa Europa che oggi però riscopre tutta la sua impotenza di fronte alla guerra. Anche se è una guerra in cui qualcuno combatte ancora coi sassi. Ancora l’intifada. Ancora le fionde di Davide e Golia.
Questi sono un conflitto e una terra che ai miei occhi fanno saltare il reticolo spazio temporale che tanto ci rassicura, in una continua altalena di distruzione orgoglio distruzione. Penso al giorno dell’arrivo di Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, a Gerusalemme. Al fatto che è accaduto nel 70 d.C. eppure ancora oggi gli Ebrei lo ricordano come un giorno di lutto, e digiunano. Lo chiamano Tisha Beav, e fino a poco tempo fa rifiutavano di passare anche solo vicino all’arco di Tito a Roma. Vedevano nello splendido monumento, in cui recentemente è stato riportato alla luce il colore originario della menorah, il simbolo della dinastia flavia che aveva dato origine alla diaspora. Ma ecco poche sere fa il Foglio ha organizzato una manifestazione proprio qui. In questo luogo dove in passato gli Ebrei sfilavano deportati come schiavi dalla giudea a Roma si parlato di coraggio e orgoglio e tutto si è tinto di azzurro, è brillata la stella di David.
Ieri e oggi invece giornate coi colori della Palestina. Manifestazioni che il nostro Paese ha autorizzato, per fortuna (“così capisco anche chi ho di fronte”, come scrive Mattia Feltri nel suo Buongiorno). E di nuovo la linea del tempo fa un giro strano. Come fosse stata raggiunta la velocità della luce che è l’unico modo per tornare indietro nel passato. Sento parlare ieri e oggi di Sansone e dei Filistei. Di uno scontro scoppiato perché si vuole la risposta a un indovinello: “Dal divoratore è uscito il cibo e dal forte è uscito il dolce”. Ieri, tanti ieri fa, queste terre bruciavano perché erano state catturate trecento volpi, erano state legate le loro code due a due e poi tra le code era stata messa una fiaccola. Oggi questi luoghi sono in fiamme e sembra che non basterà tagliare sette trecce per sperare in una rapida conclusione.