Può un giornalista sotto scorta in quanto minacciato di morte dalla criminalità organizzata italiana stare in Tribunale perché denunciato dal capo del Governo (anche se prima che lo diventasse)? In Italia può succedere ed è infatti cosa è accaduto a Roberto Saviano che oggi (12 ottobre) torna in aula come imputato per diffamazione nei confronti della Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni. La querela è stata presentata prima della nomina alla carica istituzionale attuale. Nell’udienza del 27 giugno scorso il giudice del Tribunale di Roma aveva respinto la richiesta avanzata dal legale di Meloni perché la stessa fosse ascoltata ai fini dell’assunzione di nuovi mezzi di prova. Il procedimento penale è legato a una vicenda del 2020, quando Saviano, nel corso della trasmissione televisiva Piazzapulita nell’affrontare il tema dei migranti, definì la leader di Fratelli d’Italia “bastarda”. Il passaggio della trasmissione incriminato è quello in cui Saviano, parlando della morte di un bambino durante una traversata nel Mediterraneo, affermò: “Vi sarà tornato alla mente tutto il ciarpame detto sulle Ong: taxi del mare, crociere… ma viene solo da dire bastardi. A Meloni, a Salvini, bastardi, come avete potuto? Come è stato possibile tutto questo dolore descriverlo così? Legittimo avere un’opinione politica ma non sull’emergenza”.
Si tratta di una vicenda limite, talmente inusuale nel resto d’Europa da essere finita sotto i riflettori degli osservatori internazionali e infatti l’udienza verrò seguita anche da media esteri. Articolo 21, come accaduto durante tutto il processo garantirà la scorta mediatica e sarà in Tribunale a Roma con una delegazione guidata da Giuseppe Giulietti, coordinatore nazionale dei Presidi di Articolo 21.