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Cinque anni dopo l’omicidio di Khashoggi, approvato dallo stato saudita, ancora niente giustizia

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“Cinque anni fa il brutale assassinio di Jamal Khashoggi scioccò il mondo, eppure il percorso verso la giustizia resta pienamente bloccato. Non c’è mai stata un’indagine indipendente e imparziale sul ruolo avuto da funzionari di alto livello dello stato saudita, mentre le autorità di Riad continuano a stroncare implacabilmente la libertà d’espressione nella totale impunità”. E’ quanto dichiara Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International. E aggiunge: “La sparizione forzata, la tortura e l’esecuzione extragiudiziale di Jamal Khashoggi sono crimini di diritto internazionale sui quali devono esserci indagini e processi in ogni stato del mondo attraverso la giurisdizione universale. È incredibile che invece di sollecitare giustizia per questo assassinio, la comunità internazionale continui a srotolare il tappeto rosso per i leader sauditi in ogni occasione, ponendo gli interessi diplomatici ed economici al di sopra dei diritti umani. Amnesty International continua a sollecitare un’indagine internazionale, indipendente e imparziale sull’omicidio di Jamal Khashoggi, in modo da identificare tutte le persone coinvolte, a prescindere da quanto sia alto il loro grado o status, e a processare i sospetti responsabili.

Ulteriori informazioni 

Le autorità saudite hanno chiuso il procedimento giudiziario per l’omicidio di Jamal Khashoggi nel 2019, con la condanna di otto imputati in un processo a porte chiuse privo di trasparenza e credibilità. Nel giugno 2019 un rapporto diffuso da Agnés Callamard, all’epoca Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie, ha determinato che Jamal Khashoggi fu vittima di “un’uccisione extragiudiziale premeditata, di cui lo stato dell’Arabia Saudita è responsabile”.

Dopo l’omicidio di Jamal Khashoggi, sotto la guida del principe della Corona Mohamed bin Salman, le autorità saudite hanno intensificato la repressione fino a raggiungere un livello e una dimensione senza precedenti. Il 9 luglio 2023 un insegnante in pensione è stato condannato a morte per aver criticato su X (già Twitter) le politiche del governo.
(da Amnesty.it)


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