La Cassazione ha annullato la condanna e Giuseppe Falcomatà torna a fare il sindaco del Comune e della città metropolitana di Reggio Calabria. Quando un sindaco viene assolto e torna al suo posto è una buona notizia innanzitutto per la sua città. Quella città che lo ha scelto per due volte consecutive in cerca di un po’ di respiro, dopo anni di commissariamento seguiti a un governo spregiudicato che ha fatto danni a destra e a manca. Semmai è una brutta notizia per un’opposizione che oggi prova a riproporsi alla città come salvatrice di una “patria allo sbando”.
Il copione è sempre lo stesso: complottismo, vittimismo, denigrazione. In queste ore, la destra cittadina prova a descrivere questa sentenza come una forzatura di Roma o, ancora, come una vittoria ottenuta per il rotto della cuffia, parlando di prescrizione. E, neanche a dirlo, trova qualche giornale locale a fargli eco. Non è andata così.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio in appello la condanna, accogliendo il ricorso degli avvocati della difesa Marco Panella e Giandomenico Caiazza. Ed è nel merito che i giudici hanno deciso: non c’ stato abuso d’ufficio, semmai un’ipotesi di “desistenza volontaria”, che non potrà essere accertata – questo sì – perché il reato è caduto in prescrizione. Un’ipotesi di tentativo, quindi, in cui l’azione è rimasta incompiuta perché gli imputati si sono volontariamente fermati prima di commettere il reato.
Di che reato stiamo parlando? Il processo è nato dalle presunte irregolarità nelle procedure di affidamento del Grande Hotel Miramare all’associazione “Il sottoscala” di Paolo Zagarella, un noto imprenditore della città. Al centro delle indagini c’erano i presunti rapporti tra Falcomatà e Zagarella che aveva concesso gratuitamente alcuni locali di sua proprietà per ospitare la segreteria politica per le elezioni comunali del 2014. Sono stati otto anni di processo e due anni di sospensione non solo per Falcomatà (condannato a un anno e 4 mesi in primo grado e a un anno di detenzione in appello) ma anche per un pezzo della maggioranza e del Comune: Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti, al segretario comunale Giovanna Antonia Acquaviva, per la dirigente comunale Maria Luisa Spanò e per l’imprenditore Paolo Zagarella. Tutti assolti.
Siamo davanti all’ennesima conferma: la legge Severino è un’arma in più per chi intende portare la lotta politica dentro le aule dei tribunali.