Un romanzo avvincente, ricco di suspence, sullo sfondo di un contesto storico in parte non ancora del tutto chiarito, come la reale portata della collaborazione nazista e dell’antisemitismo dell’Argentina peronista.
“A fuoco lento”, di Philipp Kerr, in libreria con Fazi Editore dal 10 ottobre (468 pp.,17 Euro), segna un gradito ritorno sugli scaffali di Bernie Gunther, il detective antinazista nato dalla penna del compianto scrittore scozzese (22.2.1956 -23.3.2018). Il romanzo era già stato pubblicato in Italia una prima volta nel 2008 con Passigli Editore.
Il romanzo è ambientato nell’Argentina di Juan ed Eva Peròn. Siamo nel 1950 e Bernie Gunther è costretto a riparare in questo Paese – dove una nutrita schiera di criminali nazisti ha già trovato rifugio con la compiacenza del regime peronista (operazione O.D.E.SS.A.) – sotto la falsa identità di un medico: Carlos Hausner, per sfuggire agli Alleati che lo ritengono un criminale di guerra. In verità, Gunther, sebbene fosse stato costretto a diventare un ufficiale delle SS con l’ascesa al potere del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedesco del 1933 e il crollo della Repubblica di Weimar, non ha mai aderito al partito nazista, che detestava in maniera viscerale.
Ma ecco che appena giunto in Argentina, quando si troverà al cospetto di Juan ed Eva Peron – i quali nutrivano un atteggiamento di particolare favore verso i medici – egli si vedrà costretto a rivelare la sua vera identità: quella di un ex detective: “Vede, non sono affatto un medico, signor Presidente. C’era un medico in Germania…un tizio di nome Gruen. Voleva andare a vivere in America, solo che era preoccupato di cosa gli sarebbe potuto accadere se avessero scoperto ciò che aveva fatto durante la guerra. Così, per togliersi dall’impiccio, decise di farmi passare per lui. Poi disse agli israeliani e a quelli dei crimini di guerra alleati dove venire a cercarmi… Il mio vero nome è Bernard Gunther. Lavoravo nel controspionaggio. Sono stato preso prigioniero dai russi e sono stato internato in un campo di concentramento dal quale sono fuggito. Ma prima della guerra ero nella polizia. Ero un detective della polizia di Berlino…. Lavoravo soprattutto alla polizia, agli omicidi.. ”.
Un’identità questa ben nota, del resto, al Colonnello Montalban, il capo del SIDE, il servizio di spionaggio argentino, anch’egli presente all’incontro, il quale intervenne immediatamente riconoscendo in Gunther il famoso detective della Kripo le cui capacità investigative, i cui successi, gli erano ben note per averne sentito parlare durante il suo soggiorno berlinese di studente negli anni ’30. A quell’epoca Gunther era il suo idolo! Il suo eroe! una delle ragioni che lo avevano indotto a diventare poliziotto.
Ed è così che il colonnello Montalban cercherà di affidargli un caso misterioso, un omicidio che aveva delle strette analogie con un’indagine (irrisolta) condotta dallo stesso Gunther quando era in forza alla omicidi a Berlino, negli anni ’30: quello di una giovane ragazza uccisa secondo il medesimo rituale raccapricciante a sfondo sessuale; da morta, le avevano asportato l’intero apparato genitale. Tra l’altro, sempre a Buenos Aires, in quei giorni era stata rapita un’altra giovanissima ragazza, appartenente anch’essa ad una importante famiglia tedesco-argentina, filo-nazista, e si temeva fortemente per la sua vita.
Il Colonnello Montalban era convinto che l’omicida della ragazza si potesse nascondere all’interno della numerosissima comunità di ex nazisti in fuga dalla giustizia Alleata rifugiatasi in Argentina. E Gunther poteva essere la persona perfetta per indagare, sia sull’omicidio sia sul rapimento, in quel mondo di criminali fatto di ex ufficiali delle SS dove poteva nascondersi l’assassino; probabilmente, un medico vista la precisione della mutilazione eseguita in entrambi i casi di omicidio, sebbene a distanza di vent’anni.
Un romanzo avvincente, quello del pluripremiato Kerr, scritto con la maestria che gli è propria e che gli viene universalmente riconosciuta dagli amanti del genere. Dunque, un racconto ricco di suspence, sullo sfondo di un contesto storico in parte non ancora del tutto chiarito: la reale portata della collaborazione al nazismo e all’antisemitismo dell’Argentina peronista. Il tutto in un contesto rievocativo di fatti e personaggi dell’epoca.
D’altronde, ciò che rende la narrazione di Kerr ancor più interessante e degna di nota nei suoi romanzi che hanno il detective Bernie Gunther al centro della scena (vedasi i romanzi della ben nota “Trilogia berlinese”), è la sua riflessione circa le ragioni che hanno portato al potere un gruppo di persone malvagie che hanno insanguinato la storia del XX secolo. A dimostrazione di ciò, il monologo presente verso le pagine conclusive del romanzo con il quale Gunther non assolve nessuno, neanche sé stesso: “Ce l’ho con i comunisti per aver indetto nel novembre del 1932 uno sciopero generale che rese necessarie le elezioni. Ce l’ho con von Hindenburg per essere stato troppo vecchio per dire a Hitler di levarsi di mezzo. Ce l’ho con sei milioni di disoccupati – un terzo di tutta la forza lavorativa – per aver voluto un lavoro a qualsiasi costo, anche a costo di Hitler. Ce l’ho con l’esercito perché non ha messo fine alla violenza nelle strade durante la Repubblica di Weimar e perché ha appoggiato Hitler nel 1933. Ce l’ho con i francesi. Ce l’ho con von Schleicher. Ce l’ho con gli inglesi. Ce l’ho con Goebbels e con tutti quei ricchi uomini d’affari che hanno finanziato i nazisti. Ce l’ho con von Papen e Rathenau, Evert e Scheidemann, Liebknecht e Rosa Luxemburg. Ce l’ho con gli spartachisti e ce l’ho con i Freikorps. Ce l’ho con la Grande guerra per aver annullato il valore della vita umana. Ce l’ho con l’inflazione e il Bauhaus e il Dada e Max Reinhardt. Ce l’ho con Himmler e Göring e Hitler e le SS e Weimar, e le puttane e i magnaccia. Ma più che con tutti ce l’ho con me stesso. Per non aver fatto niente. Che è stato meno di quanto avrei dovuto fare. Che era tutto quello che era necessario perché trionfasse il nazismo. Ne condivido la colpa. Ho posto la mia sopravvivenza al di sopra di qualsiasi altra considerazione. Il che è ovvio. Se fossi stato davvero innocente sarei morto, Anna. E non sono morto. Negli ultimi cinque anni ho cercato di tenermi lontano dal pericolo. Sono dovuto venire in Argentina e specchiarmi negli occhi delle altre SS per capirlo. Ne ho fatto parte. Ho cercato di non farne parte e ho fallito. Io c’ero. Ho portato l’uniforme. Condivido la responsabilità̀”.
Un forte richiamo, quello di Kerr, alias Bernie Gunther, alle responsabilità di ognuno di fronte ai fatti della storia, in ogni tempo: nessuno può chiamarsi fuori. Nessuno può ritenersi innocente rispetto a certi accadimenti.