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Settembre 1943: la dignità di un’Italia allo sbando 

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Aveva appena ventidue anni il vice-brigadiere Salvo D’Acquisto quando, ottant’anni fa, si fece fucilare dai nazisti, a Palidoro, per salvare i cittadini innocenti di quella piccola località in provincia di Roma dall’atrocità di un rastrellamento nazista.
Nato a Napoli il 17 ottobre 1920, compì ottimi studi e scelse di arruolarsi nei Carabinieri per senso di giustizia, oltre che del dovere, vivendo in prima linea l’orrore della Guerra d’Africa e rientrando in Italia dopo essere stato ferito in Libia. Assegnato al piccolo comune di Torre in Pietra, instaurò un buon rapporto con la popolazione locale, fino a quando non si trovò travolto dagli eventi. Il 25 luglio e, soprattutto, l’8 settembre segnarono infatti una svolta decisiva nella sua vita e in quella del Paese, ponendo ciascuno di fronte alle proprie responsabilità e alle proprie scelte. Fu in quei momenti terribili che Salvo D’Acquisto dimostrò non soltanto la propria passione civile ma, più che mai, la sua attenzione nei confronti del prossimo, tutelando la cittadinanza in tutti i modi e mantenendo un rapporto di collaborazione, non certo di acquiescenza, anche con il comando tedesco, al fine di proteggere la comunità da ogni possibile ritorsione legata all’invasione nazista e agli ordini sempre più feroci che giungevano dall’alto. Ci riuscì fino a quando, in modo fortuito, non esplose un ordigno, probabilmente frutto di un precedente sequestro, il quale uccise due paracadutisti tedeschi, ferendone altri due.
Non si trattò, dunque, di un attentato ma di una disgrazia; peccato che le truppe d’occupazione, accecate dall’odio e animate da una furiosa sete di vendetta, non sentirono ragioni, lanciandosi in una disumana quanto inutile caccia ai colpevoli. La dottrina Kesselring, a tal proposito, prevedeva una reazione atroce: la fucilazione di dieci italiani per ogni tedesco. Il 23 settembre 1943, di conseguenza, ventidue persone furono prelevate, in maniera del tutto arbitraria, e condotte sotto la Torre di Palidoro, di fronte al mare. Venne imposto loro di scavare una fossa e il plotone d’esecuzione era già pronto a far fuoco, quando il vice-brigadiere D’Acquisto si assunse la paternità dell’attentato, che ribadiamo non era tale, e volle farsi fucilare al posto dei compaesani ormai rassegnati al proprio destino.
Fu un atto di eroismo cui, lo scorso 23 settembre, ha voluto rendere omaggio il presidente Mattarella, ribadendo i capisaldi della nostra storia e della nostra Costituzione.

Ricorrre, poi, l’ottantesimo anniversario delle Quattro giornate di Napoli, immortalate da un capolavoro di Nanni Loy e giustamente ricordate come una delle pagine più intense e significative della nostra vicenda nazionale. Napoli, difatti, fu la prima città italiana a liberarsi dal nazi-fascismo, prim’ancora dell’arrivo degli Alleati, combattendo il nemico grazie a una battaglia di popolo che fu eroica e, al tempo stesso, decisiva, in quanto fece comprendere ai tedeschi quanto fosse forte e determinata l’opposizione italiana nei loro confronti. Fra il 27 e il 30 settembre del ’43 andò in scena una pagina memorabile della nostra Resistenza, caratterizzata da un coraggio che, al netto di ogni retorica, costituì un punto di riferimento per il resto del Paese.
Salvo D’Acquisto e i resistenti partenopei rappresentano, pertanto, due esempi di quanto sia stata ampia e partecipata quella lotta, coinvolgendo attivamente anche le forze dell’ordine e ponendo tutti dalla stessa parte, in nome della libertà e del riscatto di un’Italia sconfitta.
Furono momenti di incredibile dignità, cui rendiamo omaggio con gratitudine e rispetto, nella certezza che senza quei sacrifici, quella dedizione e quell’amore per il bene comune oggi non saremmo ciò che siamo. Una democrazia imperfetta e in grave declino, certo, ma non un regime, il che, per quanto spesso tendiamo a dimenticarcene, fa tutta la differenza del mondo.

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