Più delle manifestazioni contro il carovita e la dura repressione poliziesca che stanno infiammando le strade del Kenya, a destare l’attenzione dei media è l’insolita protesta della casta di parlamentari e funzionari governativi a cui non è stato pagato il lauto stipendio. L’imbarazzato capo consigliere economico del presidente Ruto ha giustificato il ritardo per una stretta economica causata dalla scadenza dei pagamenti di abissali interessi sul solo debito interno, assicurando però che il paese rispetterà gli obblighi dei rimborsi. Come però intenda farlo non è stato reso noto.
I pagamenti annuali degli interessi sul debito interno sono aumentati da 1,34 miliardi di dollari di 10 anni fa a 5,09 miliardi di quest’anno. Il debito complessivo a giugno ha superato i 75 miliardi di dollari, con un prestito di 6,8 miliardi di dollari già usato per fronteggiare il deficit di bilancio dell’anno finanziario in corso. Una voragine nei conti pubblici.
Cresce così spaventosamente la povertà sotto il macigno di misure draconiane all’origine dell’aumento dei generi di prima necessità, trattenute sui salari ed il raddoppio dell’Iva sui carburanti.
Pandemia, guerra russo-ucraina, crisi bancaria, inflazione, indebolimento della valuta locale all’origine della crisi. Ma dietro l’angolo c’è il rischio default, come già successo per Zambia e Ghana. Per i cittadini di tutte le nazioni africane questo comporta una riduzione dei servizi di base che picchia più duramente le fasce deboli. Va sottolineato che nei paesi più esposti alla corruzione e dove è prassi consolidata l’uso invasivo delle risorse pubbliche a scopi privati, il problema si aggrava. Per fronteggiare il deficit alla fine di ogni anno fiscale non resta che chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale. Il problema è che è proprio il budget statale in sofferenza contribuisce ad alimentare la corruzione: nel caso specifico del Kenya si calcola che occupi un terzo di questa voragine. Ed il Covid ha innestato il turbo alla corruzione.
Non esiste paese al mondo che non sia indebitato ma ovviamente gli investimenti “virtuosi” (strade, opere pubbliche, ecc.) contribuiscono a far tornare in attivo anche grazie all’impatto sotto sociale degli investimenti pubblici. Il tema reale è dunque la dispersione ed il conseguente indebitamento.
E’ illuminante il rapporto dell’Unctad (il gruppo di risposta globale alle crisi delle Nazioni Unite) pubblicato in luglio alla vigilia del G20 dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali tenutosi in India. Globalmente 52 nazioni (ovvero quasi il 40% del Sud del mondo) sono gravate da pesanti problemi di debito.
Per i paesi africani i costi di indebitamento sono superiori di 8 volte rispetto alle economie europee, e di 4 volte rispetto agli Stati Uniti. In questo continente il debito estero ammonta a 1,13 trilioni di dollari: l’importo speso per il pagamento degli interessi è superiore alle spese per istruzione e sanità. I creditori privati (obbligazionisti e banche) detengono il 62% del debito pubblico estero dei paesi in via di sviluppo. E la Cina è tra i maggiori prestatori di soldi. In particolare in Africa questa partecipazione dei creditori è cresciuta dal 30% nel 2010 al 44% nel 2021. E per pagare gli interessi accumulati sul debito, i governi tagliano su investimenti essenziali (istruzione e sanità) che espongono i paesi ad ulteriori ed infiniti debiti. Insomma la classica figura retorica del serpente che si morde la coda. In questa fosca radiografia delle Nazioni Unite fa però capolino un segnale di ripresa rilevato da un rapporto diffuso a maggio dalla Banca Africana di Sviluppo (AfDB) secondo cui le economie di Etiopia, Kenya, Rwanda, Seychelles, Tanzania e Uganda stanno reagendo positivamente anche alle turbolenze che le scuotono profondamente al proprio interno con una crescita prevista per quest’anno intorno al 5,1% rispetto al 4,4% del 2022 mentre per il 2024 le previsioni sono ancora migliori sfiorando il 5,8%. In realtà proprio l’Unctad ha fatto notare che gli investimenti sono insufficienti per far decollare lo sviluppo di questa parte dell’Africa orientale.
La riduzione del debito è l’unica strada per uscire da un cul de sac che rischia di soffocare il continente. Lo ha spiegato proprio Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, cha ha detto che “il debito è diventato una trappola che genera semplicemente altro debito”.
Pubblicato sulla rivista mensile “CONFRONTI” n. 9 settembre 2023