A quanto pare, la commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo si appresta a dare al ministero (delle imprese e del made in Italy) il parere sulla bozza di Contratto di servizio della Rai.
Ricordiamo la sequenza: il primo esemplare è datato 1994, cui seguì quello del 1997, e poi gli omologhi del 2000 e del 2003, sempre con durata triennale. Il quarto fu varato nel 2007, con un biennio di ritardo. Il successivo (2010) fu prorogato fino al 2018.
Con un ennesimo ritardo siamo arrivati alla nuova edizione, questa volta – in base alla normativa- quinquennale.
La rubrica affrontò il tema già lo scorso 1° marzo, con la previsione che i tempi fossero più brevi. Tuttavia, la commissione bicamerale, persino aumentata di numero malgrado il taglio dei parlamentari, tardò ad insediarsi e un giorno dopo l’altro si è giunti all’autunno.
Sono stati presentati circa quattrocento emendamenti, accomunati – per ciò che concerne l’area destra- dal filo conduttore del rafforzamento della presunta moralità delle trasmissioni, della patria e -soprattutto- della famiglia. In quest’ultimo caso si intende la forma tradizionale, da santificare con una «rappresentazione positiva». L’emendamento in questione, già notato da qualche attento commentatore, è il 5.29 (Rosso, Gasparri, Dalla Chiesa, Orsini), cui si collega il 10.7 con le stesse firme, che introduce il concetto di «maternità» come elemento costitutivo del valore e del ruolo delle donne.
Una strisciata di sovranismo mediale e di evocazione di stili di vita sani sono un rinvio simbolico all’identità di una destra che è liberista, filo Nato e genuflessa a Bruxelles, ma si rimette i distintivi dove può.
Non dimentichiamo che il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha diretto il Tg2 e nella sua ipotetica contro narrazione la Rai è il cuore del problema.
Sarà di parte, ma gli emendamenti migliorativi vengono dai rappresentati del Partito democratico (tra gli altri: Graziano, Bakkali, Nicita anche relatore) e dell’Alleanza Verdi Sinistra italiana (Bonelli, De Cristofaro). Si correggono frasi e parole sbagliate o persino inquietanti, come l’utilizzo del termine «Oriundi» all’articolo 6 sul Made in Italy.
E si invita la commissione a correggere un vero e proprio svarione. Vale a dire, si chiede di rimettere nel corpo della norma l’allegato «Offerta di servizio pubblico», che è il vero contratto di servizio. Anzi, la specificazione «pubblico» è a sua volta sbagliata, svolgendo la Rai sia attività pagate dal canone di abbonamento sia iniziative di carattere commerciale pur nella cornice dei doveri in cui si colloca l’azienda.
Si tratta di una scelta stupefacente, perché un allegato – messo alla stessa stregua dell’elenco degli impianti tecnici- è per sua natura secondario rispetto al fulcro della disciplina. In tal senso, non è casuale il mancato inserimento tra i formati dell’informazione del giornalismo di inchiesta. Il diritto di cronaca e l’investigazione dei tratti sgradevoli della realtà e dei poteri sembrano uno degli oggetti da rimuovere. Trasmissioni mirabili come Report e Presa Diretta danno fastidio. Meglio i pastoncini del teatrino politico dei telegiornali o l’imbarazzante eruzione dei talk o l’eterno gossip del day time.
L’assalto alla Rai da parte delle forze governative ha bisogno di un vademecum. Il Contratto in discussione non è proprio un sacro verbo, ma un bignamino sì.
Ecco perché è importante dare centralità ad un argomento che non riguarda solo gli addetti ai lavori, bensì coloro che non vogliono demordere dalla difesa cocciuta e senza esitazioni di un servizio pubblico inteso come bene comune e piattaforma democratica nell’età degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. Buona lotta.
PS: l’ultima giusta polemica sollevata (con il sindacato dei giornalisti) dal compianto consigliere di amministrazione Riccardo Laganà riguardò il lucroso programma serale affidato a Nunzia De Girolamo. Al di là di ogni giudizio di merito, l’affidamento di una trasmissione a chi ha avuto rilevanti ruoli di governo è assai discutibile. Lo stile.
(Nella foto il Ministro Gennaro Sangiuliano)
(da Il Manifesto)