Mahsa Amini, con il suo sacrificio estremo, con la sua bellezza sfregiata, con la sua meraviglia interiore e con i suoi sogni calpestati, ha risvegliato in noi un senso di lotta. Dopo tanti anni, abbiamo visto nuovamente le piazze riempirsi in nome di ideali nobili, combattere contro una forma di oppressione che non ci riguarda direttamente ma ci interessa eccome. Per la prima volta, ed è questa la novità più rilevante, ci siamo resi conto che anche la nostra libertà è in pericolo. Noi occidentali che ci siamo crogiolati nell’idea folle della “fine della storia”, noi che ci siamo illusi di aver vinto la Guerra fredda e abbiamo imposto con protervia un modello di sviluppo sbagliato al resto del mondo, noi ex dominatori, forti delle nostre certezze di cartapesta, improvvisamente ci siamo riscoperti fragili. Se la vicenda di Mahsa ha avuto un merito, fra i tanti, è stato, dunque, quello di averci fatto sentire nuovamente una comunità solidale in cammino, di aver riportato in auge l’internazionalismo che un tempo caratterizzava il pensiero progressista, di aver indotto le nostre ragazze a provare empatia nei confronti delle coetanee di un Paese neanche troppo lontano, di averci ricordato la fortuna che abbiamo di vivere in un contesto sì pieno di difetti ma comunque ancora democratico e di aver infranto la coltre di silenzio che sembrava essere calata su ciò che avveniva fuori dal nostro cortile di casa.