L’ultimo mafioso stragista, Matteo Messina Denaro, se n’è andato custodendo i propri segreti: una conclusione scontata. Altro che abolizione del carcere ostativo per i delitti di mafia…
Ei fu, esclusi altri paragoni. E speriamo non possa essercene un altro. L’ultimo dei mafiosi stragisti, Matteo Messina Denaro, erede di Totò Riina, non è più sulla terra. La primula rosso sangue che ha vissuto per trent’anni rintanata a Castelvetrano – un paese di 29.183 anime secondo Wikipedia, tutte innocentissime – e dintorni, l’uomo fin troppo elegante che il 16 gennaio scorso si è andato a “rifugiare” in un carcere italiano a seguito della sua spettacolare cattura, perché divorato dal male, è la stessa belva assassina che ha sciolto o fatto sciogliere nell’acido il corpo di un bambino, Giuseppe Di Matteo, dopo averlo imprigionato per 779 giorni e quindi strangolato, avendo inoltre sulle spalle decine di delitti (quasi) altrettanto efferati.
Sono questioni di bilancio del resto: “Oggi è morto un criminale, ma nessuno mi ridarà mio fratello, né la verità sulla strage in cui ha perso la vita”, commenta con i giornalisti Salvatore Borsellino la morte di Matteo Messina Denaro. Una constatazione inoppugnabile, che si fa beffe delle dichiarazioni infuocate, delle promesse ripetute, delle mirabolanti strombazzate per l’arrivo prossimo della legalità, domani e poi domani e ancora domani, espresse da molte istituzioni nel corso degli ultimi 31 anni in occasioni di celebrazioni e omaggi retorici, anche di uomini e donne dello Stato.
Ma la verità, forse, è che una parte dello Stato non vuole la verità. Non la vuole a tutti i costi. Se l’avesse voluta se la sarebbe andata a cercare in tutto questo tempo. Avrebbe impiegato uomini e mezzi, avrebbe speso risorse, si sarebbe affidato agli esperti, non solo quelli dei talk show tv, ma anche quelli che sanno fare il loro mestiere di cui pochi ricordano il nome. Avrebbe scelto le persone migliori per questi lavori nel quadro dell’eccellenza e della professionalità.
“Se fossi credente”, continua poi Borsellino, “visto che non c’è stata una giustizia in terra, potrei confidare in una divina; purtroppo, essendo laico, non posso sperare neppure in quella. Con la morte, Messina Denaro si porta i suoi terribili segreti nella tomba. D’altra parte era impensabile che un criminale di quello spessore si potesse pentire”. Una conclusione scontata per chi conosce la mentalità mafiosa. Altro che abolizione del carcere ostativo.
Sì, il silenzio ora impera. Anche le affermazioni politiche di questi giorni sono piuttosto meste, come si addice all’occasione funebre, all’occasione di una sconfitta. “Con la sua fine non credo si chiuda niente”, aggiunge, tenace come sempre, il fondatore delle Agende Rosse, “la mafia non è stata sconfitta, anzi è più forte di prima. Non parlo di quella degli anni Novanta, della Cosa nostra stragista, ma di una mafia molto più pericolosa, che si è insinuata nell’economia, nelle amministrazioni, che si è resa invisibile e che, per questo motivo, è difficile da scoprire ed estremamente più pericolosa”. I colletti bianchi, i vicini di casa, gli scioperati da bar, le personalità del circolo vicino alla chiesa, i notabili, i massoni influenti, i collusi, i depistatori imperdonabili e noi, tutti noi senzienti e senza pace. Non si è fatto abbastanza? Non abbiamo fatto abbastanza?
Il silenzio impera infine anche sulla trattativa Stato-mafia, adesso più “presunta” che mai. Fuffa, pressoché inesistente, secondo alcuni. Il processo di 10 anni? Un teorema. I colpevoli? Solo dei mafiosi. E i “giusti” che reclamano a gran voce la loro vendetta. Poco importa che non ci sia più niente da reclamare, che non ci sia riscatto. Ora faremo un Grande Nord padano, avvolto dalle nebbie di un’ndrangheta laboriosa e solerte, che si intende di autonomia, delle piazze d’affari, dei comitati d’affari, di affari e affari… Faremo i denari.
Fonte: https://www.micromega.net/matteo-messina-denaro-intervista-a-salvatore-borsellino-1/