Mahsa Amini, un anno dopo. Ce la ricordiamo bene la giovane iraniana massacrata di botte dalla Polizia Morale (termine osceno in sé, oltre che per i comportamenti che adotta) perché, a detta degli agenti, non indossava correttamente il velo. Ci ricordiamo le manifestazioni, la contestazione, i ragazzi e le ragazze in piazza insieme, le ciocche di capelli tagliate a livello planetario in segno di protesta, il coraggio della denuncia e la mobilitazione degli intellettuali. Ma ci ricordiamo soprattutto le tante persone comuni, a cominciare dalle nuove generazioni, che si mobilitano in nome dei diritti, contro la violenza sulle donne, contro ogni tirannia e in nome della libertà di pensiero e d’espressione.
Un anno dopo il regime iraniano è ancora al suo posto, ma nulla è stato più lo stesso. Da allora, infatti, è cambiata la percezione globale nei confronti dei suoi protagonisti. Certo, gli affari e gli interessi prevalgono sempre, ma la lotta per la dignità delle persone è tornata a fare capolino nel dibattito internazionale e sarà dura arginare la sete di verità e giustizia che caratterizza i ventenni, innamorati di un autentico pensiero globale.
Mahsa Amini, con il suo sacrificio estremo, con la sua bellezza sfregiata, con la sua meraviglia interiore e con i suoi sogni calpestati, ha risvegliato in noi un senso di lotta. Dopo tanti anni, abbiamo visto nuovamente le piazze riempirsi in nome di ideali nobili, combattere contro una forma di oppressione che non ci riguarda direttamente ma ci interessa eccome. Per la prima volta, ed è questa la novità più rilevante, ci siamo resi conto che anche la nostra libertà è in pericolo. Noi occidentali che ci siamo crogiolati nell’idea folle della “fine della storia”, noi che ci siamo illusi di aver vinto la Guerra fredda e abbiamo imposto con protervia un modello di sviluppo sbagliato al resto del mondo, noi ex dominatori, forti delle nostre certezze di cartapesta, improvvisamente ci siamo riscoperti fragili. Se la vicenda di Mahsa ha avuto un merito, fra i tanti, è stato, dunque, quello di averci fatto sentire nuovamente una comunità solidale in cammino, di aver riportato in auge l’internazionalismo che un tempo caratterizzava il pensiero progressista, di aver indotto le nostre ragazze a provare empatia nei confronti delle coetanee di un Paese neanche troppo lontano, di averci ricordato la fortuna che abbiamo di vivere in un contesto sì pieno di difetti ma comunque ancora democratico e di aver infranto la coltre di silenzio che sembrava essere calata su ciò che avveniva fuori dal nostro cortile di casa.
Mahsa Amini è morta in maniera atroce ma non invano. La sua luce, la sua dolcezza, l’amore per la vita che le risplendeva in viso e i suoi valori profondi sono diventati patrimonio comune. E per quanto la tirannia si sforzi di soffocare nel sangue ogni protesta, ricorrendo anche ad arresti, impiccagioni e sevizie d’ogni sorta, sappiamo che alla lunga perderà. Perderà perché ha smarrito il consenso, perderà perché i giovani sono ormai altrove, perderà perché si fonda unicamente sul terrore e perderà, più che mai, perché stavolta abbiamo la certezza che non dimenticheremo, che non smetteremo di batterci al fianco delle nostre sorelle in tutto il mondo e che saranno tanti sguardi rivolti al futuro a continuare a scandire, con passione ed entusiasmo, lo slogan: “Donna, vita, libertà”. Che non è solo uno slogan ma il senso stesso del nostro stare insieme, un progetto politico e una missione per l’avvenire che sarà alla base di un impegno collettivo con e per le donne. E dove oggi regna ancora l’orrore, prima o poi prevarrà il sorriso di una generazione per cui la democrazia non è un orpello ma un principio imprescindibile per il quale, proprio come i nostri partigiani e le nostre staffette, è pronta a vivere ma, se necessario, anche a sacrificare tutto quello che ha, compresa la vita.
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