Proviamo a raccontare del giornalista Mauro Rostagno, da un altro punto di vista. Arriveremo alla mafia e alla violenza, contro la quale in quel 1988 si scagliava dagli schermi di Rtc, tv locale di Trapani, Rostagno alla fine, dopo essere stato al fianco degli ultimi dentro la Cattedrale di Palermo molti anni prima. Raccontiamo di Rostagno cominciando da una sua storia d’amore. Raccontiamo di un amore vero, quello che Mauro Rostagno aveva per questa terra, per la Sicilia, per la città di Trapani. “Io sono più trapanese di voi perché io ho scelto di venire ad abitare qui”. Scriviamo di Rostagno, cominciando da questa sua affermazione, che come altre lastricano il percorso dei ricordi incancellabili, svelando il suo innamoramento per i siciliani grazie al quale ha vissuto con intensità gli anni del giornalismo a Rtc, coincisi purtroppo con gli ultimi anni della sua vita, in tv, a Rtc, si era portato appresso tutto il bagaglio delle sue esperienze. Vissute per mezzo mondo, cominciarono a Trento e finiro a Trapani. Perché il lavoro fatto da Rostagno tra il 1986 e il 1988 nella televisione privata trapanese non è altro che la summa di esperienze che lo avevano portato a vivere gli anni della contestazione del ’68 a Trento, la sua laurea in Sociologia, la vita dentro Lotta Continua, l’esperienza del Macondo di Milano, ed ancora con gli arancioni in India prima e a Trapani dopo, e infine il bianco della comunità di recupero per tossicodipendenti Saman. Per raccontare delle cose più straordinarie, per come le ha vissute da lui, che lo hanno visto protagonista. Lungo queste strade tanti i personaggi da lui incontrati, presi e portati appresso per un periodo, lasciati e poi ripresi, o abbandonati del tutto. Alcuni rammentano – ecco l’amore per gli altri di Rostagno – che lui in effetti non ha mai abbandonato nessuno, e chi voleva poteva continuare a bussare alla sua porta. E chissà che quella maledetta sera del 26 settembre 1988 non gli sembrò che qualcuno era venuto a bussare alla sua porta su quella stradina di Lenzi, forse per questo rallentò la marcia della sua Duna mentre i killer cominciavano a fare fuoco.
La mafia dei notabili
E allora proviamo a raccontare Rostagno e la sua storia d’amore con questa città. Con la Trapani che in quegli anni, gli anni 80, ma già da prima ovviamente, dinanzi ai morti ammazzati negava l’esistenza della mafia ed oggi, nel 2023, continua a mostrare incredulità se in galera
finiscono i “colletti bianchi”, gli imprenditori, i professionisti ed i politici.
L’informazione di Mauro Rostagno aveva una regola, mai in ginocchio dinanzi a nessuno. Anzi di regole ne aveva anche un’altra, mai dar retta a chi gli consigliava di abbassare i toni. Una informazione lungimirante, della quale oggi si sente tanta assenza e nessuno di chi fa questo mestiere, in questa periferia d’Italia, può dirsi immune. Oggi accade che la sporcizia, il marciume, l’0ambiguità, finiscono con l’essere spinte con la scopa sotto il tappeto. E magari ci si viene a dire che a Trapani ciò che deve essere svelato deve essere il bello, il brutto, i morti ammazzati, le complicità dei salotti cittadini, devono restare nascosti, celati. Mauro Rostagno avrebbe reagito sorridendo, rubo quello che è stato il titolo del libro dedicato a Rostagno da Adriano Sofri, un libro che è anche la sintesi più vera di quel processo che in Corte di Assise a Trapani ha portato alla condanna del capo mafia Vincenzo Virga, per l’omicidio di Mauro Rostagno, e che alla sbarra ha visto, assolto in appello e in Cassazione dopo la condanna di primo grado, del conclamato killer di mafia Vito Mazzara.
A Trapani si sostiene che la mafia è stata sconfitta e quindi non esiste, come non esisteva negli anni ’80… e ancora prima ovviamente. E se la mafia è sconfitta, si sostiene, ma non a ragione, che è ingiusto e inutile arrestare un notabile, perché un burocrate da queste parti è un notabile, e un politico è un uomo da ossequiare, soprattutto se poi questo politico viene dalle stanze della più nobile borghesia: quella che subiva in silenzio il ricatto dei campieri mafiosi ma si accordava con loro trovandone convenienza precisa. E’ vero, quella mafia non c’è più, ha lasciato spazio alla mafia delle relazioni internazionali, della transazioni per miliardi di euro, alla mafia che ha fatto una spa con la camorra, e che è capace attraverso personaggi dalla faccia pulita di spendere magari in un battibaleno milioni di euro. Sembra che si possa rivedere in questa realtà quella sceneggiatura scritta da Nicola Badalucco e che portò alla serie tv de “La Piovra”, chiusa con quel magnate del riciclaggio, collezionista d’arte, che vola via con l’elicottero, lasciando chi lo accusava nelle mani dei killer.
Ieri è morto Matteo Messina Denaro: non era il capo assoluto di Cosa nostra ma non un quisque de populo. Puntualmente ecco che c’è chi ha giocato d’azzardo, è morto il boss, è morta la mafia. Errore da segnare con la matita rossa.
Ed essere innamorati di questa terra non significa non guardare a tutto ciò che l’ha sporcata, e infangata. La mafia ha distribuito qui il suo fango e la sua merda, eppure ancora oggi si sente dire che i giornalisti che raccontano di queste nefandezze sono loro i veri inquinatori. Chi sostiene questo “inquina” i pozzi. Questo era il giornalismo fatto da Rostagno, c’era dentro l’amore per la terra nella quale aveva scelto di venire ad invecchiare, a vedere crescere le figlie, e coccolare i nipoti che sarebbero potuti arrivare, e la denuncia era frutto di quell’amore.
Un continuo salire di tono, intensità, emozioni, rabbia, voglia di riscattare la terra dai suoi mali. Fino a quando non trovò i killer sulla sua strada quella sera del 26 settembre 1988.
Lui che aveva alzato sempre più il tiro denunciando la munnizza che abbondava per strada, il disagio dei meno fortunati, il pericolo della droga, gli intrecci dentro le stanze della massoneria segreta, le ruberie di Palazzo D’Alì, sede del Municipio di Trapani, le tangenti che venivano distribuite nella vicina Marsala, la Paceco nascosta dentro le stanze dove si riunivano i mafiosi, le anomalie di un delitto irrisolto come quello del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, compiuto nell’agosto del1980, il coinvolgimento in quel delitto di due capi mafia siciliani per eccellenza, Mariano Agate e Nitto Santapaola, “salvati” in un primo tempo dall’ignavia di un capitano dei carabinieri, o ancora la barbarie del delitto di un giovanissimo ragazzo di bottega, ammazzato senza perché una mattina di estate in una stradina di Paceco.
Ci hanno detto: “voleva far cambiare costume alla società”, vero verissimo, ma la società, questa società che lui tanto amava non è stata unisona nel cambiare costume. Cosa Nostra non poteva permettersi tutto questo. Non poteva sopportare un giornalista che la sfidava ogni giorno anche quando denunciava la spazzatura lasciata per strada perché sui rifiuti Cosa nostra aveva già messo le sue mani. Non fu un delitto di impeto, di gelosia, fatto da sprovveduti, ad uccidere fu quella mafia che entra in scena usando le auto rubate mesi prima e tenute nei garage della criminalità pronte per essere usate, è quella mafia che spara prendendo armi e munizioni dai suoi arsenali, che usa quei fucili sovraccaricati di pallettoni, che riesce a fare andare in corto circuito un intero impianto di illuminazione come accadde quella sera di 35 anni addietro a Lenzi.
Il patriarca della mafia belicina il “padrino” Ciccio Messina Denaro, ha raccontato il pentito Sinacori, durante un summit espresse ogni peggiore rancore per “chiddu ca varva chi parla in televisione” e ne ordinò l’uccisione. Un incarico arrivato a Trapani a Vincenzo Virga, passato al gruppo di fuoco. Una rapidità micidiale, un fronte di fuoco dal quale Rostagno non poteva sottrarsi. I killer sono rimasti senza volto. Così come i lupi che lo seguivano a Trapani e per primi lo hanno azzannato. Qualche lupo ancora gironzola per Trapani, qualcun altro se ne è aggiunto, chi li tiene a guinzaglio di tanto in tanto si avvicina e consiglia ancora di abbassare i toni.
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