Informare la collettività su una questione di interesse generale come l’esistenza di un’inchiesta su una presunta irregolarità nell’approvvigionamento di vaccini da parte dell’ex vice ministro della salute (in questo caso serbo) anche quando si indicano dei sospetti sull’ex membro del Governo, è un diritto protetto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Non solo. Gli Stati non possono limitare le attività investigative del giornalista tanto più che ogni restrizione all’attività dei cronisti rappresenta un grave pericolo perché è un tentativo per impedire la divulgazione di notizie di interesse generale. È inconcepibile, inoltre, ritenere che non vi possa essere una discussione preventiva o contemporanea sui procedimenti giudiziari perché i media hanno il compito di trasmettere informazioni e il pubblico ha diritto di riceverle, ricordando che la tutela assicurata dall’articolo 10 della Convenzione europea che assicura la libertà di espressione non è circoscritta alla pubblicazione di un articolo, ma copre ogni attività preparatoria che consente al giornalista di ottenere informazioni. È la Corte europea dei diritti dell’uomo a stabilirlo con la sentenza Radio Broadcasting Company B92 AD contro Serbia depositata il 7 settembre (ricorso n. 67369/16 CASE OF RADIO BROADCASTING COMPANY B92 AD v. SERBIA), con la quale Strasburgo è ancora una volta intervenuta a tutela della libertà di stampa ritenendo che la condanna in sede civile dell’azienda televisiva che ha dato notizia su un’inchiesta in corso è una violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea.
Nel corso del notiziario, la radio aveva dato conto dei contrasti sulla gara per l’approvvigionamento dei vaccini contro l’influenza suina e della cancellazione di alcuni nominativi dall’elenco dei sospettati a seguito di pressioni del Procuratore speciale sul Ministro dell’interno. Al tempo stesso la notizia era stata riportata sul portale della radio. L’allora ex vice ministra della salute (che aveva chiesto e non ottenuto una rettifica) aveva citato in giudizio l’emittente per tutelare la propria reputazione e il ricorso era stato accolto con l’obbligo per l’azienda di versare 1.750 euro per i danni non patrimoniali subiti e di rimuovere l’articolo dal portale. Una conclusione bocciata da Strasburgo. La Corte ha constatato che vi era stata un’ingerenza nel diritto alla libertà di stampa prevista dalla legge per tutelare il diritto alla reputazione, ma tale ingerenza non era conforme ai criteri già consolidati nella giurisprudenza della Corte europea che, nel corso degli anni, ha chiarito che, nel valutare se limitazioni alla libertà di stampa siano conformi alla Convenzione dei diritti dell’uomo è necessario considerare: a) il contributo di un articolo o di un servizio televisivo a un dibattito di interesse pubblico; b) la notorietà della persona interessata e il tema dell’articolo; c) la condotta della persona al centro dell’articolo prima della pubblicazione; d) il metodo seguito per ottenere informazioni e una valutazione sulla veridicità della notizia; e) il contenuto, la forma e le conseguenze dell’informazione; e, in ultimo, f) la severità della sanzione. Tali parametri devono essere applicati congiuntamente. Nel caso in esame – osserva Strasburgo – l’informazione fornita era di interesse pubblico e la viceministra, in quanto pubblico ufficiale, avrebbe dovuto mostrare un più alto grado di tolleranza. Inoltre, le dichiarazioni di fatto, come la notizia sulla scomparsa di 12 nomi dalla lista dei sospetti era stata confermata da una nota della polizia, senza alcun dubbio, quindi, sulla sua veridicità. I giornalisti, poi, avevano agito con correttezza, senza esagerazioni, operando in buona fede e con una richiesta di dichiarazioni sulla propria versione degli eventi alle parti interessate, con ciò rispettando la diligenza che ci si aspetta da un giornalismo responsabile. In questo contesto, gli Stati hanno un margine di apprezzamento ristretto perché non possono limitare la discussione su questioni di interesse pubblico e, quindi, la condanna disposta dai giudici interni, anche nel corso di un procedimento civile e non penale, è stata contraria all’articolo 10 della Convenzione perché in grado di avere un chilling effect sulla libertà di stampa. La Corte ha anche imposto alla Serbia di riparare il danno materiale e morale per un totale di 5.240 euro.