Un processo a porte chiuse a Gomel, dopo otto mesi di detenzione: la giornalista e documentarista bielorussa Larysa Shchyrakova è stata condannata a tre anni e mezzo, che dovrà scontare in una colonia penale di massima sicurezza, e dovrà pagare una multa di 3500 rubli bielorussi.
L’accusa, nei suoi confronti, è “raccogliere, creare, elaborare, archiviare e trasmettere informazioni” – l’essenza del lavoro di una cronista – per il principale centro per i diritti umani della Bielorussia, Viasna, nonché per il canale televisivo Belsat, che il governo, guidato dal dittatore Lukashenko, considera “organizzazioni estremiste”.
A Larysa, a cui è stato tolto il figlio, prima messo in un orfanotrofio e poi affidato all’ex marito, la vicinanza e il sostegno delle Commissioni Pari Opportunità di ODG, FNSI, USIGRAI e associazione Giulia Giornaliste, che denunciano e condannano la repressione nei confronti della stampa libera in un paese in cui sono 33 i giornalisti e le giornaliste dietro le sbarre, insieme ad altri 1500 prigionieri politici, fra cui il premio Nobel Ales Bialiatski.
Il giornalismo non è un crimine, il giornalismo è indispensabile per la democrazia, per i diritti di tutto il popolo, calpestati e negati con una repressione violenta, e il verdetto contro Larysa Shchyrakova è un’altra rappresaglia per annientare l’informazione e le voci libere.