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La Civiltà Cattolica di Padre Antonio Spadaro ha rotto gli steccati

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Padre Antonio Spadaro ha lasciato la direzione de La Civiltà Cattolica. Siccome si tratta di quello che molti hanno chiamato “lo spin doctor del papa”, non pochi hanno cercato di capire cosa voglia dire l’addio nei rapporti di vertice: così per alcuni i gesuiti hanno affossato la stella Spadaro, per altri il chiacchiericcio indicava da tempo un mutato rapporto tra il “consigliere” e Francesco. La forza del chiacchiericcio è che presume di sapere quel che noi non sappiamo. Ma riferendone possiamo considerare che appena pubblicato il suo saluto ai lettori, ieri mattina, il gesuita era già a Santa Marta per accompagnare dal papa il regista di “Io comandante”, vincitore del Leone d’argento a Venezia.

Primo atto del nuovo lavoro da sotto segretario al dicastero vaticano che si occupa di cultura ed educazione cattolica? Io non penso: sono certo che lo avrebbe fatto ugualmente, come ha fatto con Martin Scorsese quando è venuto in Italia. Il chiacchiericcio e le semplificazioni ( se i gesuiti avessero affondato la stella Spadaro forse il suo farawell party sarebbe stato diverso) non aiutano sempre.

Così penso che quando si chiude una stagione si debba decidere o di ignorarla ( “non è rilevante”) o di capirla. E la stagione-Spadaro alla guida de la Civiltà Cattolica fa balzare agli occhi un dato evidente: era una rivista italiana, ora è una rivista globale, con edizioni in altre nove lingue tra le quali (per intendersi) varrà la pena di ricordare cinese, russo, coreano, giapponese. A questo dato se ne è aggiunto un altro: c’è sempre il collegio romano degli scrittori del papa, ma ci sono 200 gesuiti sparsi nel mondo che scrivono, con un collegio di corrispondenti ma anche come un enorme collegio mobile o integrativo di corrispondenti. Dunque non è più Roma che spiega il mondo al mondo, ma il mondo che parla a Roma, per capirlo insieme. Voglio dire che Spadaro ha realizzato giornalisticamente quel che il Francesco sta cercando di realizzare ecclesialmente, e cioè ha realizzato una rivista globale per una Chiesa globale, cioè una Chiesa che non pretende di poter dissetare tutti con l’acqua di Roma, ma che invita tutti a riempire d’acqua le fontane romane. Lo ha detto benissimo il presidente Mattarella: “ un segnale importante perché offre sempre più l’idea che non si tratta soltanto di trasmettere idee ma anche di riflettere insieme, con le varie civiltà e culture, sulla sorte del mondo”.

Dunque i dodici anni di Spadaro a La Civiltà vanno rivisti e letti come un evento che ha trainato nella comunicazione ( e non soltanto con la comunicazione) la visione ecclesiale di Francesco. Questo è stato il suo tempo a La Civiltà Cattolica, un viaggio straordinario che anche noi ordinari lettori abbiamo potuto seguire nel suo dipanarsi lento ma costante, sorprendente. Se questo è vero vuol dire che La Civiltà Cattolica è diventata un ospedale informativo da campo, una rivista in uscita, una rivista “per i poveri”. Non è forse così? La Civiltà Cattolica di Antonio ha rotto gli steccati, è scesa per strada, non ha osservato il mondo dalla stupenda cupola di San Pietro, ha incontrato altri giornali e altre associazioni, ha promosso l’incontro con altre fedi, è andata in moschea, ha guardato in faccia le scelte sbagliate del proprio passato, ha varcato i confini di ieri per stare sulle frontiere dell’oggi. Ha scritto nel suo saluto ai lettori padre Spadaro: la rivista “si è esposta senza stare a guardare dal balcone – a balconear, direbbe papa Francesco – e scendendo per strada, spesso intrecciando i suoi percorsi con altre testate o associazioni giornalistiche”. Parole stupefacenti, da capire, oggi! Non c’è un altro esempio di realizzazione comunicativa, informativa, riflessiva, dell’approccio globale e fraterno di Francesco. Non c’è.
Tutto questo avrà causato mugugni e malumori tra molti, è impossibile escluderlo, non è eccessivo ipotizzarlo. Invidia? Non solo: anche contraddizione. C’è un modo di essere Chiesa che contraddice questa modalità. Questo modo di cambiare, come informare e come essere Chiesa, piace e non piace, ovviamente, ma a mio avviso di questo l’informazione avrebbe dovuto parlare in un giorno che mi ha ricordato quello in cui Sorge, siciliano come Spadaro, come lui ha lasciato dopo dodici anni quella rivista. Ha scritto tempo fa l’attuale direttore di un’altra rivista dei gesuiti, Aggiornamenti Sociali, padre Giuseppe Riggio, su quell’addio: “ Il ruolo a La Civiltà Cattolica non poteva più essere svolto con la stessa fecondità di prima per una serie di motivazioni.” E’ stato così anche oggi? Io questo non lo so, non lo posso sapere, ma ho l’impressione che l’autore di un saggio su Francesco nel quale chiedeva, rispondendo negativamente, se si fosse esaurita la spinta propulsiva del pontificato, avrà certamente ritenuto che non poteva esaurirsi la sua spinta propulsiva al pontificato, al suo cammino. Non si tratta di stabilire chi è con e chi contro, ma di avere l’onestà di riconoscere che La Civiltà Cattolica è stata per dodici anni un coerente avamposto propulsivo della Chiesa in uscita, ospedale da campo, misericordiosa, fraterna, dentro di sé e fuori di sé. Mi sembra, purtroppo, che l’occasione non sia stata colta appieno e questo non è positivo per noi, per l’informazione, che ha bisogna di consapevolezza in questo frangente a dir poco complesso. Infatti nella suo saluto padre Spadaro ha voluto puntigliosamente e coraggiosamente scrivere che La Civiltà Cattolica è una rivista giornalistica, non accademica. Tutto la definiscono autorevole, prestigiosa ed altre espressioni così: lui l’ha definita giornalistica, a mio avviso perché sa che il giornalismo non sta molto bene. Questo modo di essere e fare dimostra che si può fare (forse si dovrebbe fare) senza essere affascinati dal potere. E su questo credo che i colleghi di padre Spadaro, i giornalisti cioè, potrebbero soffermarsi. Forse è una chiave per far riprendere il giornalismo dalle sue difficoltà.


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