L’ambasciatore russo in Italia, Alexey Paramonov, ha commesso un errore grave. Infatti a suo avviso il papa esprimerebbe una profonda convinzione di molti italiani e cioè che “il conflitto non finisce solo perché l’Italia e altri Paesi occidentali inviano a Kiev una grande quantità di armi e altri aiuti militari”. Tutti sappiamo che settimanalmente il papa definisce “martoriata” l’Ucraina. Non penso che l’accurata scelta di questo vocabolo prescinda da chi la sta martoriando, e cioè le bombe e i missili russi. La storia del rapporto di Francesco con questa guerra è evidente: lui ritiene che si debba porre termine al conflitto con un negoziato che consenta la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e più generalmente nel mondo. In questo modo il papa offre un terreno più ampio per ricomporre la controversia, non mette in discussione il diritto ad esistere dell’Ucraina, come fa il Cremlino. In due occasioni Francesco si è espresso sulla lotta armata ucraina. La prima volta è stata quella della famosa intervista al Corriere della Sera, nella quale gli venne chiesto se fosse d’accordo con l’invio di armi all’Ucraina. Per nostra fortuna, a differenza di quanto accade in Russia, nessuno li rader religioso nostrano benedice le armi: è finita per fortuna, almeno qui, l’epoca delle crociate. E infatti Francesco disse di essere troppo lontano, la decisione sull’opportunità spettava alla Chiesa locale. Quale sia la posizione dei cattolici di Kiev lo sappiamo. Ma non è tutto. Dopo il suo viaggio in Kazakhstan il papa è stato richiesto di un’opinione sulla resistenza armata degli ucraini e ha detto che “chi difende ama”. Non essendo un chierichetto di questo o quel leader politico, Francesco non aderisce ad un racconto, ad una rappresentazione unilaterale. Non essendo un manicheo non vede un conflitto tra figli del Bene e figli del Male, ma definisce “martoriata” con incessante e chiarissima costanza è l’Ucraina. Certo, in un mondo polarizzato tra opposti estremismi senza più estremi e sempre più opposti, il suo non essere un manicheo rende la sua posizione più difficile di tante altre. Ma attribuire al papa una posizione così goffa e unilaterale, per la quale la guerra non finisce solo perché l’Italia e altri paesi occidentali inviano armi a Kiev ha il sapore della strumentalità. Il mio timore è che la propaganda russa sappia delle difficoltà che il papa incontra a tenere un baricentro chiaramente per la pace, il negoziato, l’Ucraina. Tutto sommato in questo racconto gli aggressori sembrano disarmati, le armi le usano solo gli ucraini. Perché? Perché la trappola che si vuole tendere al movimento pacifista è molto semplice: sostituire la parola “pace” con la parola “resa”. Se si arrendessero sarebbe tutto risolto, no? Gli opportunisti, chi spaccia il proprio particulare con il bene comune sarebbe anche moralmente a posto. Francesco, che ha detto come già ricordato che “chi difende ama”, sa che esistono diversi ordini di grandezza del problema. Accanto a quello territoriale c’è quello sulla sicurezza e quindi sugli equilibri di garanzia continentale tra blocchi o alleanze. E’ questo, a mio avviso, il motivo profondo dell’insistenza del Vaticano sulla formula della CSCE, la Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa che proprio la Santa Sede favorì tanti anni fa e che oggi ritiene possa dare tutte le risposte necessarie ala creazione di un ordine che soddisfi le diverse esigenze. Non la resa. E’ questa semplificazione, davanti al papa che ha il coraggio di guardare la complessità negata da tutti, ciò che lascia feriti davanti alla semplificazione dell’ambasciatore è l’indisponibilità non dico all’onestà, questo sarebbe troppo anche sperarlo, ma a non strumentalizzare per propaganda. È questo che non ci sta. Schiacciare chiunque voglia cercare di pensare possibile il dialogo con Mosca sul più intransigente nazionalismo ucraino è il risultato che una cecità e strumentalità propagandistica di questo tipo producono. Contenti loro…