Quanto è accaduto alla giornalista francese Ariane Lavrelleux ci riguarda da vicino, anzi da vicinissimo. Ariane, infatti, è stata arrestata e poi rilasciata, in seguito alle proteste di tutte le organizzazioni internazionali e nazionali dei giornalisti, tra queste Articolo 21.
A giustificare il fermo e la detenzione, l’accusa di aver reso pubblici i retroscena della operazione Sirti, i legami pericolosi tra Francia ed Egitto, i traffici d’armi con quel regime che pratica la tortura e, ogni giorno, sequestra e uccide i suoi oppositori. Una inchiesta che ha reso pubblici quei rapporti d’affari insanguinati che legano i due paesi.
Quei legami non riguardano anche l’Italia? Il regime che sta coprendo sequestro e assassinio di Giulio Regeni non continua a trafficare con i nostri governanti? Non sarà il caso di riaccendere i riflettori su questi traffici e sulle mancate risposte del regime alle richieste dei magistrati italiani che chiedono di poter processare gli imputati? Quello che è accaduto nella Francia di Macron potrà riaccadere nell’Italia della Meloni che già detiene il primato in materia di querele bavaglio scagliate dai ministri contro croniste e cronisti “sgraditi ?”.
Nel frattempo in Europa, nel tentativo di prevenire il Media freedom act che avrebbe dovuto rappresentare uno scudo a difesa del diritto di cronaca, si sta cercando di dare il via libera allo spionaggio “autorizzato” contro i cronisti che potrebbero attentare alla sicurezza nazionale. In questa dizione potrebbero rientrare decine di inchieste. Andrea Purgatori che indagava sui depistaggi sulla strage di Ustica attentava o no alla sicurezza nazionale? I cronisti che ancora indagano sulla trattativa Stato mafia pregiudicano la sicurezza nazionale? Chi indaga sui traffico d’armi commette un reato? Chi svela le bugie dei ministri commette un reato?
Non parliamo poi di Assange che avendo scoperto e denunciato le bugie raccontate su Iraq, Afghanistan, guerre, torture, è diventato un nemico da oscurare, estradare, condannare all’ergastolo. Colpirne uno per educarne cento, questo sembra ormai lo slogan che guida regimi e governi di ogni colore che non possono sopportare le luci del pensiero critico, inchieste e domande sgradite.
Per questo quelle 39 ore di “arresto” per Ariane Lavrilleux ci riguardano e presto potrebbe aumentare sia le ore di detenzione, sia i paesi coinvolti. Sarà bene provare a costruire una risposta di lotta comune, capace di coinvolgere tutte le organizzazioni dei giornalisti e quanti hanno ancora a cuore la libertà di informare e il diritto ad essere informati.