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Alberto Sordi, o della commedia umana. Il ricordo del grande attore romano a venti anni dalla scomparsa

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Il ventennale della scomparsa di Alberto Sordi (Roma 1920-Roma 2003), insieme al ricordo del grande attore romano, sottolinea l’incolmabile vuoto da lui lasciato nel panorama del cinema italiano. Ma è altrettanto vero che la sua maestria attoriale resterà scolpita per sempre nell’immaginario collettivo non soltanto delle generazioni che con lui sono cresciute, ma anche dei più giovani che hanno ricevuto in eredità oltre 150 film interpretati in più di mezzo secolo e capaci di raccontare tutto il nostro Novecento: dall’Italia umbertina(“Gastone”, di M. Bonnard, ’59) alla prima guerra mondiale(“La grande guerra”, di M. Monicelli, ’59) al fascismo ed alla resistenza(“Tutti a casa”, di L. Comencini, ’60) fino alla ricostruzione postbellica(“Un americano a Roma”, di Steno, ’54) al boom economico(“Il boom”, di V. De Sica, ’63) agli inquieti anni ’70 (“La più bella serata della mia vita”, di E. Scola, ’72) giù giù fino ai nostri giorni (“Una botta di vita”, di E. Oldoini, ’89; “Romanzo di un giovane povero”, di E. Scola, ’95).

Sarebbe fortemente riduttivo parlare di Sordi soltanto come di un grande comico, epperò è stata proprio la rara capacità di adattare sempre la sua verve burlesca, divenuta col tempo maschera nei modi della Commedia dell’Arte, a situazioni drammatiche a renderlo unico, fino al punto di essere definito da Laurence Olivier “Il piu’ grande attore del mondo”.

Nato nel 1920 a Roma, città della quale fu anche sindaco per un giorno in occasione dei festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno, Sordi inizia l’attività artistica giovanissimo, nel 1936, come attore di compagnia, soprattutto nella rivista, e benché respinto agli esami di ammissione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano a causa del suo accento romanesco(decisiva fu in tal senso la parola <<guerra>> che l’attore ostinatamente ed orgogliosamente pronunciava <<guera>>) viene scelto dalla MGM per doppiare Oliver Hardy, in arte Ollio. L’esordio sul grande schermo è del 1937 ne “Il feroce saladino” di M. Bonnard, ma vi appare soltanto travestito da leone. Nel 1938 sarà il regista russo Fedor Ozep ad assegnargli, ne “La principessa Tarakanova”, nel cui cast figura anche una ancora sconosciuta Anna Magnani, il primo seppure piccolo ruolo della sua lunga carriera. Nel dopoguerra Sordi fu molto attivo oltre che nella rivista anche alla radio, per la quale creò caratteri che lo resero popolarissimo, dal conte Claro a Mario Pio al Compagnuccio della parrocchietta. E sarà proprio grazie a quest’ultimo personaggio, al centro del suo primo film da protagonista, prodotto dal suo grande amico ed estimatore Vittorio De Sica, “Mamma mia, che impressione!”, di R. L. Savarese, del ’51, che si farà notare dalla critica (anche di quella cattolica, che non gradì il film) e dal pubblico, nonostante gli incassi fossero stati nettamente inferiori alle aspettative. Con “Lo sceicco bianco” del ’52, e “I vitelloni”, del ’53, primi capolavori di Federico Fellini, Sordi elabora in maniera a dir poco magistrale il personaggio che lo accompagnerà per tutta la vita: l’italiano medio un po’ vigliacco, profittatore, infantile, esperto nell’arte di arrangiarsi. Anche questi due film stentano ad imporsi al grande pubblico (lo stesso Sordi ricordava la passeggiata notturna con Fellini a Venezia, dopo la visione fischiata de “Lo sceicco bianco” alla Mostra del cinema, passata a discutere se cambiare o meno mestiere). E’ con l’irresistibile personaggio di Nando Moriconi, nato per un episodio del film “Un giorno in pretura” di Steno, ’53, e ripreso dallo stesso regista l’anno seguente in “Un americano a Roma”, che il talento di Alberto Sordi si imporrà in maniera definitiva e ineguagliata. Solo nel ’54 egli girerà altri 13 film, e dieci saranno quelli interpretati nel ’55. Cifre record con cui l’attore romano si avvicina a quella grande stagione del cinema di casa nostra che fu la commedia all’italiana, di cui diventerà subito il massimo interprete. I grandi maestri di questo genere, da Monicelli a Risi, da Comencini a Zampa, da Loy a Scola, se lo contenderanno ben sapendo che solo quel volto avrebbe potuto raccontare al meglio i “mostri” che l’Italia del boom stava producendo. E la sua sarà una galleria di personaggi che diventerà lo specchio fedele di una realtà colta nel suo farsi. “L’arte di arrangiarsi”, ’54; ”Il marito”, ’58; ”I magliari”,’59; ”Il vedovo”,’59; ”Il vigile”,’60; ”Una vita difficile”,’61; ”Il commissario”,’62; ”Mafioso”,’62; ”Il maestro di Vigevano”,’63; ”La mia signora”,’64; ”Il disco volante”,’64; “Fumo di Londra”, ’66; “Un italiano in America”,’67; ”Riusciranno i nostri eroi a ritrovare…..”’68; “Bello, onesto, emigrato Australia…, ’71 ; ”Finchè c’è guerra c’è speranza”, ’74, sono alcuni titoli che da soli illustrano un periodo cruciale della storia del nostro paese molto meglio che centinaia di saggi sociologici. La capacità di Sordi di calarsi in maniera beffarda nei panni poco edificanti del cinico italiano piccolo borghese fa il paio con la maestria con cui egli riesce a capovolgere questa immagine interpretando le mille sfaccettature che disvelano le cause di tutto ciò. I suoi personaggi sono, dunque, insieme vittime e carnefici di un sistema sociale ed economico in grado di travolgere tutto e tutti. Tre film degli anni ’70, “Detenuto in attesa di giudizio”, di N.Loy,’71; ”Lo scopone scientifico”, di L. Comencini,’72; ”Un borghese piccolo piccolo”, di M.Monicelli, ’77, rappresentano in questo senso l’apice della sua maturità artistica. Pressoché in scena dal primo all’ultimo minuto, in queste opere Sordi si fa carico di comunicare parabole amare ed epocali, scolpendo sul suo volto istantanee che raccontano e ci raccontano senza infingimenti di sorta. Sorrisi e lacrime, un impasto delicato ed esplosivo che raramente si è riusciti ad amalgamare in maniera così perfetta, senza scadere nel patetico o nel ridicolo. In uno dei suoi ultimi film, certamente il migliore tra quelli da lui diretti, ”Nestore-L’ultima corsa”, ’94, Sordi narra delle peripezie di un anziano vetturino prossimo alla pensione che cerca di salvare il suo amato ma oramai vecchio cavallo dalla macellazione. Quello che più colpisce del film è però il caos di Roma, il ritrovarsi solo per caso, la solitudine affollata cui siamo costretti, la memoria offesa dal tempo. Un racconto senza intrecci, necessariamente lineare, autobiografico senza vergogna. Dopo tanti personaggi recitati, Sordi aveva trovato il coraggio di confessarsi. La vita, la maschera, Molière che muore sulla scena. E noi che ci sentiamo più soli…


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