Un silenzio allarmante, che dovrebbe preoccupare tutti i democratici per i quali è insostituibile la funzione del giornalismo libero, in particolare di quello che non si ferma davanti ai fumogeni che l’autoritarismo adotta per nascondere crude verità.
E’ quanto sta accadendo in Italia intorno al caso del giornalista tedesco di origine curda Avrim Akcadag. Arrestato il primo agosto su mandato internazionale della Turchia di Erdogan con l’accusa di complicità con il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan (dichiarato fuorilegge per terrorismo dall’autocrate turco), dopo un giorno trascorso nella sezione di massima sicurezza del carcere sassarese di Bancali, ottenuti gli arresti domiciliari, gli è stata assegnata come ‘domicilio’ la sede dell’Associazione sarda contro l’emarginazione nel comune di Selargius, nel cagliaritano.
Dopo cinquantadue giorni durante i quali è stato anche separato dalla figlioletta di undici anni con la quale stava trascorrendo una vacanza in un albergo sul mare della costa settentrionale sarda ha ottenuto la scarcerazione. Una drammatica vicenda umana che ha colpito un cittadino europeo che ha l’unica colpa di essere inviso ad un regime che lo sta perseguitando politicamente per la sua attività di giornalista che si è occupato prevalentemente di Medio Oriente.
Finora della vicenda, fatta conoscere da un’inchiesta dell’Espresso, si è occupata solo la magistratura sarda sul cui tavolo è stato sbattuto, acriticamente, un fascicolo costruito sulla base dei mandati emessi dall’Interpol su richiesta della polizia turca.
Legittimo chiedersi per quale ragione le accuse non provate hanno avuto più valore, nel disporre l’arresto, delle tre sentenze con le quali la magistratura berlinese aveva archiviato da tempo, perché ritenute assolutamente false, le richieste del paese di Erdogan.
I magistrati sardi hanno fatto il loro dovere, ma alla luce di quanto accaduto, conta o è apparenza senza valore essere cittadino europeo? Qual è la tutela politica dei cittadini che appartengono all’Unione? E quanto peserà questa condizione nella decisione che il governo italiano dovrà prendere in merito alla richiesta di estradizione presentata dalla Turchia? Avrim Akcadag, solo per aver svolto con competenza e onestà il suo lavoro, se sarà estradato rischia una condanna a 15 anni di reclusione.
Ecco perché il silenzio deve allarmare. Fatte le dovute differenze, questa vicenda ha molte affinità con il caso Assange. Occorre una forte presa di posizione politica, di categoria, culturale perché nessuna persecuzione immotivata contro chi informa correttamente abbia successo. E soprattutto nei confronti di situazioni istituzionali e politiche nelle quali la democrazia è un’opzione nelle mani di chi comanda.