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8 settembre, l’occupazione di Roma e la Santa Sede

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Ci sono notizie e considerazioni importanti nel podcast de La Civiltà Cattolica dedicato all’8 settembre del 1943, l’armistizio, e intitolato “L’occupazione di Roma e la Santa Sede”. Come possiamo ascoltare sul sito della rivista dei gesuiti,  emerge subito un punto oggettivamente importante: indifferibile per salvare il salvabile, l’armistizio senza condizioni firmato dal maresciallo Badoglio portò lui stesso, il re, la regina e il loro figlio Umberto a fuggire da Roma per raggiungere Brindisi. Chi non lasciò Roma a se stessa fu il papa, Pio XII. Si sentiva sicuro?  No. Hitler – si afferma subito dopo- aveva espresso ai suoi collaboratori l’intenzione di arrestarlo, poiché  lo riteneva responsabile del “tradimento italiano”.

Badoglio comunicò la scelta dell’armistizio alla Santa Sede lo stesso 8 settembre, con considerazioni condivisibili nella loro evidenza. Interessante però è quello che emerge dagli archivi de La Civiltà Cattolica, e cioè che conversando con il direttore del periodico dei gesuiti il papa stesso affermasse che peggio di così quell’armistizio non avrebbe potuto essere gestito: si rimaneva esposti alla violenza dei tedeschi e al cinismo degli anglo americani. Che arrivarono a rendere problematico lo stesso approvvigionamento della capitale, a differenza dei tedeschi che rispondevano più velocemente, almeno in quella fase. Il papa esternò in quell’occasione tutta la sua rabbia per il bombardamento con voli a bassa quota di cinquanta mezzi di trasporto vaticani. Il governo statunitense aveva assicurato al papa tutt’altra condotta.Tre sin qui i punti importanti: la scelta del papa di restare, il giudizio impietoso su come fosse stato realizzato l’indispensabile armistizio, il risentimento verso gli alleati. Segue un’altro elemento di grande rilievo: la neutralità.

Pio XII scelse questa linea e proprio nei giorni successivi all’armistizio se ne ha significativa conferma  nell’archivio di Civiltà Cattolica grazie a una sintesi della conversazione tra l’incaricato d’affari della nunziatura vaticana e il generale Graziani, gerarca  che voleva che il papa non riconoscesse valore legale all’armistizio, definito nella conservazione un tradimento. Il generale  fascista si sentì però rispondere  che la Santa Sede voleva rimanere neutrale nella disfida tra i due belligeranti, “pur non potendo restare neutrale tra bene e male”. E’ impossibile fare paralleli tra quel momento e altri momenti decisivi in conflitti avvenuti nel tempo e certamente rilevanti, ma forse in queste parole sulla neutralità bellica, non neutralità tra bene e male, c’è qualcosa di importante da registrare.

 

La ricostruzioni di quegli importantissimi frangenti storici prosegue con la ricapitolazione, in basa a fonti vaticane, del reale pericolo di arresto del papa da parte tedesca, che fu rinviato per scelta del generale che lo avrebbe dovuto effettuare: lui convinse Hitler a prendere tempo, visto che sarebbe stato preferibile per le truppe tedesche non inimicarsi tutta la Chiesa mentre si trovavano in territorio ostile. Così si arriva al trauma del rastrellamento di circa mille ebrei romani, all’insaputa del papa, informato dei fatti solo a cose avvenute. La nota di protesta della Segreteria di Stato  all’ambasciatore tedesco è nota, esprime enorme dolore e incredulità, ma non esaurisce quanto si espone. Il punto rilevante di quanto raccontato è la decisione del papa di inviare suo nipote, Carlo Pacelli, dal rettore della chiesa nazionale nazionale tedesca di Roma e amico di alti gerarchi nazisti, con la precisa richiesta di intercedere perché le retate contro gli ebrei non si ripetessero. Il messaggio arrivò, si sostiene, allo stesso Hitler. La retata si concluse e ottomila ebrei furono salvi.Ma per i mille ebrei rastrellati nella notte tra il 15 e 16 ottobre del 1943 non c’era più nulla da fare: l’ordine, prosegue il racconto, era partito direttamente dagli uffici di Hitler e non poteva in alcun modo essere annullato, come il successivo avviamento nei campi di sterminio.

La parte conclusiva del podcast è quella più nota, la salvezza di molti ebrei romani con la fuga o con l’ospitalità in casa religiose o in strutture vaticane coperte dalla extraterritorialità. Molto spesso tutti i perseguitati, ebrei o antifascisti,  erano vestiti da preti. Di questo molto si è scritto e si sa, anche grazie all’opera di molti storici, tra i quali il citato professor Andrea Riccardi. Ma come si giunse a questa scelta di aprire conventi e edifici extraterritoriali? Il podcast afferma   che fu una scelta di papa Pio XII e si cita il diario della Civiltà Cattolica dove in una nota del Primo novembre 1943 si scrive testualmente che “il papa si è anche interessato al bene degli ebrei”.

 

La presenza di molte persone in pericolo, ebrei o antifascisti  al Seminario Maggiore, nel complesso di San Giovanni in Laterano, è descritta  con diverse citazioni di altre fonti. Quasi tutto il CLN era lì e si riuniva in una casa privata di proprietà di un prete a due passi da San Giovanni.

Ma c’è ancora un passaggio rilevante  da segnalare. Come mai, se questa è la storia, una vasta pubblicistica è cominciata di lì a breve rappresentando uno svolgimento molto diverso, e cioè la  tesi famosa, e mai accettata dal Vaticano, del “papa dei silenzi”? Per chi sia interessato alle interpretazioni diciamo che si sostiene la tesi non nuova che il papa non scelse i proclami che temeva inutili e forse anche controproducenti, ma di aiutare nella concretezza del fare. Il messaggio di gratitudine del Presidente del CNL Bonomi al papa subito dopo la fine della guerra viene citato e suffragio della tesi. Ma ciò che qui interessa  è un altro passaggio, dove si afferma che, giunti nell’epoca della guerra fredda, quando si prospettava una divisione del mondo in sfere di influenza, fu in ambito comunista che emerse la linea di presentare Pacelli come un papa  che, per paura del comunismo ateo, solidarizzò con  i regimi totalitari, nascondendone gli orribili crimini, fino alla stessa Shoà. Si spiega così il senso del successo del famoso lavoro teatrale “Il Vicario”, tedesco, opera di Rolf Hochhuth.

E’ dunque la fase della contrapposizione quella che spiegherebbe un evento ancora da chiarire.  Ma questa è una spiegazione che deve far riflettere, e non riguarda la scelta compiuta da Pio XII, sulla quale sarà di maggiore aiuto lo studio degli archivi vaticani aperti dal papa proprio per favorire le indagini storiche. Per ora non sembra che il gap tra studiosi si riduca. Per David Kertzer, tra i primi a consultare gli archivi, emergerebbe l’impressione di un papa letteralmente “manipolato” da Hitler e Mussolini. Il suo volume è stato pubblicato da Garzanti. Per il capo archivista del Parlamento tedesco lo storico  Michael Feldkamp, invece “possiamo ora correggere molte vaghe supposizioni o addirittura accuse” nei confronti del Pontefice: stando a quanto ha dichiarato a Vaticannews “Papa Pacelli salvò personalmente almeno 15 mila persone di religione giudaica e seppe dettagliatamente quanto stava accadendo nel cuore dell’Europa”, che poi è quanto afferma Kertzer, per il quale però l’obiettivo era tutelare il millenario potere della Chiesa. Le tesi dei due studiosi possono essere facilmente lette in modo più dettagliato in articoli ad esse dedicati.

Ma il punto qui posto a mio avviso esula da questo confronto e sul quale rimangono per me  cruciali in campo cattolico  gli studi  di Giovanni Miccoli, come “i dilemmi e i silenzi di Pio XII”: il punto che emerge invece riguarda altro, non la scelta del Papa, ma il peso della radicalizzazione degli scontri politico ideologici,  non quelli   tra studiosi più inclini a capire o  condannare Pio XII, ma tra chi per motivi di appartenenza politico ideologica  sia pronto a usare, consapevole o no,  ciò che può giovare alla sua causa politica.  Questa è un’altra storia,  che  pesa molto nei fatti di oggi, segnati da crescenti radicalizzazioni e strumentalismi.


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