La tendenza che ruota attorno all’educazione dei giovani è quella di sottovalutare l’influenza che possono avere certi contenuti, ultimo esempio è il libro del generale Vannacci, pieno di omofobia e razzismo, come dimostrano le tante citazioni riportate dai quotidiani. Quante volte sono state dette e scritte certe frasi razziste che, pur non avendo attenzione mediatica perché non hanno come autore un generale dell’esercito o il politico di turno, hanno lo stesso seguito grazie alla divulgazione che ne viene fatta attraverso i social, una specie di porta a porta capace di produrre attenzione, consenso e imitazione.
Ciò che sta accadendo attorno al libro del generale Vannacci, presentato nei talk televisivi, non per quello che è, ideologico e razzista, ma portatore di contenuti da trattare in perfetta par condicio tra chi condivide e li ritiene “appropriati” e chi no. Come sempre finirà in una bolla di sapone, con il generale pronto a “scendere in campo” alle prossime elezioni.
Quali sono le conseguenze sociali, in particolare per quei giovani facilmente influenzabili, senza anticorpi adeguati, a causa della mancanza di condanna nei confronti di ciò che viene sbandierata dall’autore come “libertà di espressione”, in assenza di un approfondimento critico verso chi si sente in dovere di motivare l’italianità dal colore della pelle o dai tratti somatici. Ritengo che questa superficialità sociale, questa mancanza di indignazione, abbia una quota di responsabilità sull’aumento del bullismo, della violenza nei confronti degli insegnati, nei confronti dei senza tetto, il rapporto deviato con il corpo della donna, lo stupro di gruppo con tanto di video da condividere poi sui social.
Tutto ciò appartiene, facendo riferimento a fatti del passato, alla cultura fascista, che è sempre esistita nella nostra società, fino a qualche tempo fa nascosta e repressa, considerata dai più espressione politica riferita alla nostalgia di un passato, mentre oggi si sente politicamente legittimata, esce alla ribalta, crea consenso, ed è alla base della violenza nei confronti del diverso e che si alimenta della complicità di chi fa finta di non vedere e di non sentire e di conseguenza non ne vuole parlare.
Qualche giorno fa, il 23 agosto, nel centenario della morte di don Giovanni Minzoni, barbaramente assassinato ad Argenta, nel ravennate, dalle squadracce nere di Italo Balbo, a dimostrazione della “violenza antiumana del fascismo”, il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, vescovo di Bologna, lo ha ricordato come esempio d’amore: “Chi ama non possiede, non si accontenta di dichiarazioni facili, ma dona tutto”. Don Minzoni ha donato la vita a difesa dei parrocchiani dalla violenza fascista. C’è una frase citata nell’omelia dal cardinale che è di grande significato e che ci deve fare riflettere: “Fascismo (…) significa sempre il disprezzo dell’altro, del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre con quella verbale”. Sono parole riferite alla vita di don Minzoni “affrontata senza compromessi, senza opportunismi, senza convenienze”, allo stesso tempo di grande attualità che dobbiamo fare nostre perché ci indicano la via da seguire, in una società che rischia di andare alla deriva.