Un mese fa ci lasciava Andrea Purgatori. Il dolore per la sua improvvisa scomparsa, pochi mesi dopo la diagnosi del male che lo ha strappato alla vita troppo presto, non mi aveva permesso finora di scrivere questo ricordo, oggi più che mai doveroso.
Prima d’ogni altra cosa devo ad Andrea un insegnamento che ha marcato profondamente il mio modo di interpretare la nostra professione: un giornalista ha il dovere di raccontare verità.
Soprattutto se una storia diventa “missione” Come Andrea ha dimostrato può essere un’inchiesta che non è solo un “impegno professionale”.
Non si può che partire da questo per parlare di Andrea. Da un lavoro giornalistico che non ha conosciuto mai pause né incertezze: la ricostruzione dei fatti e dei depistaggi della strage di Ustica.
Un percorso mai interrotto, intrapreso al fianco di Daria Bonfietti presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage, di straordinaria continuità. Con un intento fermo e chiaro: arrivare alla verità e garantire il diritto alla giustizia alle famiglie che erano destinate a non sapere cosa fosse davvero accaduto il 27 giugno del 1980 al DC9 Itavia con 81 persone a bordo.
Dobbiamo a lui se oggi sappiamo che non fu una bomba a dilaniare quelle vite, come bugie e depistaggi volevano accreditare.
Andrea Purgatori ha svelato le falsità e le omissioni di chi portava avanti quella tesi, raccontando come quel disastro fosse stato causato dall’impatto con un missile.
A rafforzare lo scenario bellico nel 1999 fu la sentenza del giudice Rosario Priore che mise nero su bianco le cause della tragedia: “Il DC9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea, guerra di fatto e non dichiarata contro il nostro Paese”.
“Mancano ancora gli autori materiali, con la certezza però della presenza di aerei americani, francesi, inglesi, belgi e alcuni con il transponder spento, probabilmente libici” ha scritto Priore, ripreso da Andrea che ha continuato a studiare e ad approfondire gli atti dell’inchiesta giudiziaria.
Ma Andrea ha fatto di più.
È sempre rimasto al fianco dei familiari delle vittime Non le ha mai lasciate sole.
Se la vicenda di Ustica ci parla del valore e del carattere del giornalista, la sua generosità e schiettezza, che ben conosce chi ha avuto il piacere, anzi il privilegio, di meritare la sua vicinanza, sono state il tratto distintivo dell’uomo, con la sua grande sensibilità e profondità.
Mi perdonerete i cenni alla mia storia personale, ma sono fondamentali per capire quanto il suo sostegno sia stato per me fondamentale. Quanto lui supportasse i giovani colleghi.
Nel 2018 dopo una serie di minacce per le mie inchieste e gli articoli sul tema dei migranti, nonché attacchi sui social, tra cui messaggi che istigavano allo stupro,, reagii denunciando gli squadristi da tastiera affinché si assumessero le loro responsabilità.
Andrea fu tra i primi, con Articolo 21, a esprimermi solidarietà e addirittura lanciò un hashtag: #iostoconantonrllanapoli.
Quel piccolo gesto fu per me fonte di coraggio e determinazione nell’ andare avanti a contrastare quegli attacchi.
Lo chiamai per ringraziarlo, gli dissi “non essere soli conta” e “con te accanto mi sento più forte”.
Lui ribatté con un “daje”.
Quel “daje” che era la sua esortazione più affettuosa. Un altro tratto distintivo.
Quando nel gennaio del 2019 fui sequestrata in Sudan dai servizi di sicurezza, appena tornata libera la sua fu tra le prime telefonate che ricevetti.
A differenza di altri colleghi che in quelle ore mi bombardarono ci chiamate per strapparmi una dichiarazione il suo primo pensiero non fu di “prendere” la mia voce per farne una notizia ma sapere se e come poteva aiutarmi.
E ancora, pochi mesi dopo – quando mi fu riconosciuta la sorveglianza in seguito alle minacce ricevute dai Fratelli Musulmani Sudanesi per i miei reportage, nell’incontrarmi in Federazione della Stampa ebbe per me parole di affetto e di incoraggiamento che furono per la sottoscritta energia allo stato puro.
Mi riempí d’orgoglio sentirgli dire che la mia “tigna”, il mio voler “raccontare storie che altrimenti resterebbero oscurate, senza esitare a mettere a repentaglio la propria incolumità” erano doti di un “vero e bravo giornalista”.
Ne fui commossa.
Soprattutto perché per me lui era il numero 1, un esempio, un’ispirazione.
Se ho avuto la forza di intraprendere il mio percorso nel giornalismo nel solco di Joseph Pulitzer, grande maestro che mi aveva confessato lo stesso Andrea era stato anche suo riferimento, è proprio grazie a lui.
Pulitzer sosteneva che un giornalismo fedele al suo scopo non si occupa solo di come stanno le cose ma di come dovrebbero essere.
Nessuno più dì Andrea aveva messo in pratica questo insegnamento.
Ma su tutto prevale la mia riconoscenza per essermi sempre stato accanto umanamente nei momenti più difficili, quando in tanti spariscono.
Ed è per questo che prima ancora di essere un collega, Andrea era un amico.
Un amico che manca immensamente.
Insieme a Daria Bonfietti, a Beppe Giulietti, Vittorio di Trapani e Mauro Biani lo ricorderemo il 10 settembre alla festa dell’Unita a Bologna.