A proposito di fake, la vicenda della presunta rete unica delle telecomunicazioni non scherza. Infatti, il memorandum ofunderstanding siglato dal Ministero dell’economia e delle finanze con il fondo statunitense Kkr per rilevare da parte del primo il 20% di Tim ha poco a che vedere con la pur nobile ipotesi della unitarietà e del carattere pubblico dell’infrastruttura.
Il progetto di una struttura controllata dallostato in grado di connettere con la banda largal’intero paese –di bosco e di riviera– poteva (doveva) essere a metà degli anni Novanta del secolo scorso la strategia per un settore allora in crescita esponenziale. Tuttavia, con notevoli colpe anche del centrosinistra allora al governo, fu preferita una strada voltasostanzialmente a fare cassa per entrare nelle compatibilità dell’euro.
Ne venne fuori un pasticcio grave, attraverso la pessima privatizzazione di un presidio fondamentale per una democratica società dell’informazione.
Nel frattempo, una concorrenza agguerrita e un competitore costruito in casa nell’epoca del gabinetto Renzi con la formazione di Open Fiber, grazie all’intreccio tra Enel e Cassa depositi e prestiti, assestarono la botta finale.
La blasonata Cassa è – come Arlecchino- al servizio di due padroni: sta in Open Fiber e pure in Tim. Piccoli misteri della fede.
Riprendiamo il filo del discorso da qui. Ora entra in scena l’intesa con gli americani, cui già lo scorso giugno il consiglio di amministrazione aveva dato la luce verde per l’acquisto del 100% della rete primaria (che vadalla centrale agli armadietti) e di quella secondaria (dai suddetti armadietti alle case), nonché dei cavi sottomarini legati ad aspetti delicati della geopolitica. Insomma, l’intesa conseguita, che dovrà essere specificata e tradursi nel solito DCPM (guai a passare per il parlamento) sotto l’egida formale del ministro Giorgetti, è legata ai riti del padrone d’oltre oceano.
L’esborso dello stato sarà tra i due e i tre miliardi, utili per completare l’offerta di Kkr. Insomma, il ruolo del governo è ancillare, ben lontano dagli ammaccati proclami sovranisti.
Non solo. C’è un risvolto di cui non parla l’esecutivo: il percorso immaginato ha come premessa lo spezzatino: la rete diventa la compagnia in perdita e i servizi remunerativi saranno il cuore di un’ulteriore società.
L’effetto temuto con ragione dalle organizzazioni sindacali è che a pagare simile avventurismo saranno lavoratrici e lavoratori: gli esuberi previsti, infatti, toccano migliaia di persone.
Inoltre, l’attuale socio rilevante -Vivendi- come reagirà? I conti senza l’oste in genere non finiscono bene.
E l’Europa? Il matrimonio all’italiana potrebbe trovare numerose difficoltà a Bruxelles, a partire dall’anomalia della doppia presenza della Cassa depositi e prestiti.
In ogni caso, l’annuncio ha il sapore di una mossa da marketing, piuttosto che di una vera scelta industriale.
Parlare di rete pubblica è solo una manipolatoria mistificazione.