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Spagna. Corsa per evitare il voto. Ci prova Feijóo

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Il re Felipe VI ha iniziato lunedì i colloqui per conferire l’incarico di candidato alla presidenza del governo. Il quadro frammentato uscito dalle urne del 23 luglio sembra una bestia indomabile, con poche probabilità di formare un esecutivo, dipendendo tutto da accordi “impossibili”.

La Spagna sembra diretta verso una ripetizione elettorale, la terza in pochi anni, dopo quelle di dicembre 2015 e aprile 2019. Una soluzione che è per tutti un’incognita, nessuno sa se e chi favorirebbe, e che non piace a politica e economia europee: con tanti dossier aperti, dalla guerra all’emergenza climatica, si preferisce un esecutivo di qualsiasi segno all’incertezza.

Con l’apertura giovedì della XV legislatura è iniziata la corsa per evitare il voto. E la prima tappa, l’elezione della presidenza del Congreso de Los Diputados, l’ha vinta, brillantemente, Pedro Sánchez.

Sánchez ha già dimostrato di saper trovare accordi parlamentari, ha governato in minoranza, ma questa volta nell’equazione deve entrare anche Junts per Cat (JxC), il partito nazionalista indipendentista catalano di centrodestra dell’ex presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, ora europarlamentare e ricercato dalla giustizia spagnola.

In questi numeri, i difficili termini dell’equazione. Undici sono le liste con rappresentanza parlamentare. La maggioranza assoluta è di 176 seggi su 350. Il PP ne ha 137 (33,1 per cento, oltre otto milioni di voti), il Psoe 121 (32,7 con 330.000 voti in meno), 33 Vox, 31 Sumar, 7 ciascuno per i catalani di Esquerra republicana de Catalunya (Erc) e JxC, 6 EH Bildu (indipendentisti baschi di sinistra), 5 il Partido nacionalista Vasco (Pnv), 1 ciascuno Coalición Canaria (Cc), Unión del Pueblo Navarro (Upn) e Bloque Nacionalista Galego (Bng).

L’elezione delle presidenze delle camere era il primo scoglio da superare e il risultato ha sorpreso gli osservatori: Pedro Sánchez ha imposto in prima votazione e con la maggioranza assoluta (178 voti) la sua candidata, Francina Armengol, sulla candidata del Pp, Cuca Gamarra. Tutto secondo le previsioni invece al Senato, che non vota la fiducia al presidente del governo, con la maggioranza assoluta del Pp e l’elezione di Pedro Rollán alla presidenza.

Vediamo com’è andata, per capire anche dove si muove la ricerca di un governo. Mentre gli spagnoli andavano in vacanza la politica lavorava intensamente ma, sino alla mattina di giovedì tutto era ancora in aria. Il Pp aveva i voti di Vox, Cc e Upn, quindi 172; Il Psoe quelli di Sumar, Bildu, Pnv e Bng, 164. I partiti catalani avevano in mano le sorti della legislatura.

Tutti parlavano con tutti, malgrado si mantenessero le ostilità in favore di telecamere, e si camminasse su anni di incomunicabilità, anche Pp e Junts, attraverso riservatissimi sherpa: Feijóo non poteva non cercare di trarre profitto dai conflitti nel nazionalismo catalano. Erc e Junts sono in feroce competizione per l’egemonia nell’indipendentismo, ogni scelta si misura quindi su due piani, politica nazionale e competizione interna. Junts è governato da un leader lontano che non ha attualmente incarichi ufficiali (un po’ come Podemos con Pablo Iglesias). Puigdemont, è solo un europarlamentare e presidente del Consejo por la República Catalana, una entità esterna al partito, verticale e controllata da lui, la cui tesoreria ha sede in Belgio.

Anche tra Junts e Psoe non ci sono rapporti diretti, esistenti invece con Erc. Di trattare coi catalani si è occupata ufficialmente Yolanda Díaz di Sumar, con Jaume Asens, ex vicesindaco di Ada Colau a Barcellona e portavoce del gruppo di En Comú al Congresso. Dìaz stessa era intervenuta aprendo al plurilinguismo istituzionale. Sánchez si è mantenuto defilato e ha calato le sue carte presentando, il giorno prima davanti al gruppo parlamentare socialista, la candidatura di Armengol e l’uso in parlamento delle lingue co-ufficiali spagnole, catalano, basco e galiziano, e la richiesta del loro inserimento nelle lingue ufficiali dell’Ue.

Francina Armengol — ex presidente della Comunità autonoma delle Isole Baleari, strappata alle sinistre dalle destre nel voto amministrativo del 28 maggio — appartiene alla tradizione federalista del Psoe, oggi minoritaria ma un tempo asse del progetto socialista per la Spagna democratica, sacrificato sull’altare della Transizione. Un’interlocutrice apprezzabile dai partiti nazionalisti periferici, che nel discorso d’investitura ha annunciato che consentirà di intervenire nelle lingue co-ufficiali cominciando da subito a lavorare all’implementazione dei meccanismi che lo consentano. In Europa sarà più difficile, posto che è un tentativo venne fatto, ma ora la Spagna ricopre la presidenza di turno dell’Ue e ha ben altri margini di manovra, oltre che autorevolezza continentale.

La registrazione nella prima mattina di giovedì della richiesta ufficiale all’Ue del ministro degli Esteri in funzione, José Manuel Albares, di inserire le lingue coufficiali spagnole fra quelle dell’Ue (“pagamento in anticipo”) ha convinto Junts. E l’elezione ha cambiato in parte lo scenario della corsa al governo. Creando tensioni tra Pp e Vox.

C’era un accordo non ufficiale di cedere a un membro di Vox una vicepresidenza di quelle che spettano al Pp, non rispettato per non allontanare Cc che aveva espresso una pregiudiziale. Santiago Abascal non l’ha presa bene e, a sorpresa, quelli di Vox non hanno votato la candidata del Pp alla presidenza del Congresso, Cuca Gamarra. Tensioni anche nei governi locali, con Murcia che probabilmente tornerà al voto. Vox prima ha detto che garantirà comunque il voto a Feijó, poi ha chiesto contropartite.

Adesso la costituzione dà al re le redini del processo. Dopo aver sentito i gruppi parlamentari, in ordine crescente di seggi, indicherà il candidato. La prassi indica che possa essere Feijóo, in quanto candidato del primo partito. Il presidente popolare lo ha rivendicato, perdere ma presentarsi può in parte emendare l’errore di non presenziare al dibattito televisivo a quattro di Rtve. Adesso il suo unico obiettivo utile sembra essere prendere tempo, forse la ripetizione del voto, perché dopo l’eventuale formazione di un governo delle sinistre si aprirebbero nel Pp i lavori per la sua successione. Gli serve comunque tempo per preparare almeno un’uscita onorevole. Le sue speranze sono nel riuscire in qualche modo a mettere insieme i voti di Vox e del Pnv. Remotissime, visto che i baschi andranno tra un anno al voto e hanno il fiato sul collo di EH-Bildu.

Per Sánchez, essere il secondo candidato comporta il rischio che Feijó trovi la formula magica ma gli dà più tempo per provare a dipanare una matassa ingarbugliatissima. Il voto lo ha blindato al centro del quadro politico. Un voto che ci dice di un leader vincente ma anche di altro.

Sánchez e la sinistra spagnola hanno retto, malgrado il crollo di Podemos, grazie alla mobilitazione della cittadinanza. Mentre tutte le trombe suonavano la vittoria delle destre, e i primi accordi locali tra Pp e Vox segnalavano la rotta che avrebbe seguito un loro governo nazionale: nel mirino le nuove politiche su lavoro, casa, aborto, diritti individuali e collettivi, diritti delle donne, sanità pubblica, portate avanti dal congiunto del governo social-comunista. “Il governo per le classi medie e lavoratrici”, come lo definisce Sánchez, è stato difeso dai beneficiari delle sue politiche. C’erano cose materiali da difendere, azioni di governo, altre politiche a cui opporsi. Per capire perché gli spagnoli si sono mobilitati contro ogni previsione per difendere leggi e atti del governo di Pedro Sánchez è utile vedere questo bel reportage di Rtve sul dramma della casa che colpisce sia ceti più sfavoriti che le classi medie.

Davanti al re, nelle due giornate di consultazione, i blocchi si sono ricomposti. Abascal ha confermato che voterà Feijóo, che con Cc e Upn arriva a 172 voti, rendendo necessaria almeno un’astensione benigna del Pnv. Aitor Esteban, portavoce basco, ha ribadito al re l’indisponibilità a far eleggere un presidente coi voti di Vox e definito “prematura” l’apertura di una trattativa con Sánchez. Sánchez ha confermato di ritenere di essere in grado di articolare  la “maggioranza necessaria” per formare un governo, e ha subito preso contatto con Esteban per concordare un incontro. Feijóo ha ribadito che vuole tentare. “Non ho garanzie di essere candidato, né di avere un governo ma posso difendere un’alternativa di governo”, ha detto alla stampa. “Un governo in solitario del Pp potrebbe essere la migliore garanzia di stabilità. Pormi a disposizione del capo dello stato è mio dovere”, ha concluso.

Felipe VI aveva qualche giorno aveva qualche giorno, potendo anche procedere a un nuovo giro di consultazioni. Ha scelto di accorciare i tempi e incaricare Feijóo. Assieme a lui capirà i tempi per consentirgli di andare a chiedere la la fiducia al Congresso. Sánchez aspetta che fallisca per avere la sua chance. La strada è ancora lunga ma la democrazia spagnola dimostra di saper gestire nel suo parlamento anche momenti estremamente delicati.


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