La punta di diamante del regime che si è impadronito della Rai è stata, ovviamente, la quasi mezzora in diretta solitaria dell’intervento di Giorgia Meloni su Rainews, la testata all news della Rai, totalmente pagata con i soldi del canone, quindi anche i miei, i vostri e così via.
Ma il regime lo si vede perfino meglio in tutto il resto della programmazione televisiva della Rai, nonostante sia ancora quella estiva, basata su repliche, montaggi (pessimi) di trasmissioni d’archivio e rari programmi culturali di ottima qualità, relegati, infatti, alle giornate di agosto che registrano lo share più basso dell’anno (un bell’esempio è “nel secolo breve” su Rai3).
Le omissioni, infatti, sono il timbro principale dell’informazione di tutti e tre i telegiornali, di Rainews, dei servizi parlamentari e delle poche trasmissioni stile talk che vanno attualmente in onda.
Le omissioni in estate sono ancora più semplici. Il TG1, che del non dire aveva fatto il suo tratto dominante anche con la direzione precedente, oggi supera se stesso e, dopo aver dedicato 50 secondi alla vicenda De Angelis, guardandosi bene dal riassumere o dallo spiegare, passa ad approfondire argomenti come i 20 anni dalla morte della Sora Lella (con rispetto parlando), la riproduzione delle tartarughe marine, i concerti dell’estate e via così…Parla la presidente del consiglio, 40 secondi ciascuno alle opposizioni, compresa la quarta forza politica di maggioranza cioè Italia Viva, conclude qualcuno dei ministri coinvolti nell’argomento.
Negli ultimi due mesi sono state certificate presenze di Giorgia Meloni al 70 per cento nei telegiornali nazionali, un record che nessun presidente democristiano al tempo di quella che veniva definita la Rai monocolore aveva mai avuto!
Il TG2 è un bollettino anche ben dettagliato dell’attività di governo e nell’approfondimento ha trovato in un argomento importante ma meno politico, il clima e il riscaldamento globale, una perfetta uscita di sicurezza. E poi naturalmente ci sono le estati degli anni 60, molto amate anche dal TG3, che per distinguersi ricorda che gli operai tornavano a casa dal nord, dalle grandi fabbriche, verso i paesini del sud da dove erano partiti. Emigranti però resta parola difficile da abbinare alla storia del nostro paese, chissà perché, tranne nei casi in cui il presidente Mattarella ne fa il centro del discorso di ricordo dei minatori morti nel 1956 a Marcinelle.
Nei talk estivi ancora più penosi di quelli invernali si fa il solito giochino degli spazi a metà fra le forze politiche, ci si accontenta degli ospiti che si trovano in genere inquadrati in splendide residenze estive che aiutano i conduttori maschi e femmine a fare le vittime del lavoro anche in piena estate. Una delizia.
Rainews ha deciso di diventare il canale ufficiale della presidente del consiglio. Una presidente del consiglio che, ce ne stiamo dimenticando, fugge dal rapporto diretto con i media, non accetta conferenze stampa, risponde a fatica anche ai giornalisti esteri e quasi mai, fra una smorfia e l’altra e il tentativo di tirare fuori una voce meno aggressiva e intollerante, risponde al tema della domanda.
Il tutto mentre nei programmi Rai di intrattenimento sbucano incredibili personaggi dello spettacolo e della musica che dicono di essere stati in questi anni emarginati dal dominio culturale della sinistra. Sono sempre molto pochi, li cercano ma non li trovano, quegli antipatici del cinema resistono e protestano pure, figuriamoci.
E intanto a Saviano non viene nemmeno comunicato che le sue quattro puntate di “Insider”, registare e pagate sempre con i soldi del canone, non saranno trasmesse. Non si sa perché. Il codice etico è una scusa e lo dice perfino l’amministratore delegato. Opportunità. Finora appelli, proteste, lettere deli parenti delle vittime di mafia sono rimasti inascoltati.
Qualcuno si sta accorgendo dei colpi che già oggi subisce la Rai e da un punto di vista di mercato cerca di approfittarne. Pier Silvio Berlusconi appare ben consapevole che una Rai tutta di destra non rappresenta più milioni di italiani che stanno cambiando canale e che abbandoneranno la Rai definitivamente in autunno. E gongolano la 7 e la 9, canali in chiaro che faranno il botto degli ascolti.
Della inesistenza di un orgoglio aziendale, di sindacati forti, di un consiglio di amministrazione che potrebbe incidere invece che trattare un vice direttore senza deleghe da qualche parte, di un ex amministratore delegato che poteva combattere una fortissima battaglia di autonomia dell’azienda e si è venduto per la sua carriera personale, ecco di tutto questo meglio smettere di parlare. Ma non si può non restare esterrefatti dall’inconsistenza della battaglia che per la libertà di opinione e la difesa del servizio pubblico dovrebbero fare i partiti dell’opposizione e gli organi preposti al controllo, la commissione di vigilanza e l’AGCOM.
La destra è riuscita in una operazione facile: far passare il messaggio che la lottizzazione c’è sempre stata, tutto era uguale. No. La storia vera della Rai dice un’altra cosa: la lottizzazione c’è davvero sempre stata e, in modo deviato, garantiva un pluralismo. Anche dopo il maggioritario, anche con i governi Berlusconi e sempre con i governi di centrosinistra, quando addirittura la Rete1 era affidata a direttori vicini a Berlusconi, il TG2 comunque alle opposizioni, almeno un giornale radio (altro aspetto di cui nessuno parla, mai i GR monocolori) e altre strutture di rilievo nel contesto aziendale, comprese le vice direzioni generali. Siamo nati contro l’editto bulgaro di Berlusconi e oggi, rileggendo chi gestiva la Rai di allora, la troviamo decisamente più plurale.
La crisi democratica di una Rai occupata e monocolore non è stata compresa e le conseguenze le vedremo pesantemente nei prossimi mesi.