Il 1° agosto del 2018, esattamente cinque anni fa, di fronte alla consueta bagarre dei partiti sulla nomina del Presidente della Rai, figura di garanzia, Articolo 21,avanzò la candidatura di Riccardo Laganà, il giovane consigliere d’amministrazione eletto in rappresentanza dei dipendenti della Rai seppur con una legge sciagurata finalizzata a completare il mosaico costituzionale del “regime del Primo ministro”. Laganà Presidente non era una provocazione. Riccardo era l’espressione più autentica di quel movimento per la riforma e la modernizzazione della Rai, pilastro del pluralismo politico e sociale. Quelmovimento, nato nel crogiolo dell’autunno caldo alla fine degli anni sessanta, seppe imporre ai partiti la Riforma del 1975 che trasformò uno dei tanti “corpi separati dello Stato” in uno spazio aperto che garantiva il diritto d’accesso a tutte quelle realtà sociali cui nessuno aveva mai realmente dato la parola: operai, studenti, braccianti, disoccupati, degenti degli ospedali psichiatrici, detenuti, movimenti per i diritti civili.
Riccardo ha saputo inserirsi nella storia di quel movimento come militante e attivista portando con sé l’orgoglio di farne parte ma anche il dolente carico di sconfitte, aspettative tradite e opportunità mancate. Ha interpretato quella storia con intransigenza, purezza d’animo e spirito critico senza mai prestarsi a manovre di corridoio, né essere compiacente verso chi lo aveva elettoo sostenuto.
Era consapevole che il passaggio dalle monadi monomediali alla intermedialità richiedessepreliminarmente una riorganizzazione dell’assetto aziendale per generi. Si è impegnato strenuamente per questa riforma ancor prima di entrare nel CdA. La sua delusione nel vederla fallire è stata palpabile: “Caro Renato, la riforma per generi è stata portata avanti solo per maquillage, non è davvero strutturale e non hai idea diquanto lo sto urlando in CdA. Non sanno come procederee nemmeno gli interessa. Ci vorrebbe un Comitato di Liberazione Nazionale del servizio pubblico”.
Rileggendo con immensa tristezza gli innumerevoli scambi di messaggi a commento delle vicende nient’affatto esaltanti degli ultimi cinque anni si coglie, insieme a una ferrea e risoluta determinazione, tutta la fatica, l’amarezza e la solitudine sofferta nei corridoi del settimo piano di Viale Mazzini.
Riccardo entra a pieno titolo nelle storia del Servizio pubblico come uno dei tanti combattenti che ne hanno difeso la Rai come presidio della democrazia nel nostro paese. Ai familiari, le sentite condoglianze e il ricordo affettuoso da parte di Articolo 21.