BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Nella Repubblica Islamica il giornalismo è un crimine

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Continuano in Iran gli arresti le condanne di giornalisti. Quest’anno i giornalisti iraniani, in occasione della Giornata Nazionale dei Giornalisti, che nella Repubblica Islamica si celebra ogni anno l’8 di agosto, sarà un momento di lotta con campagne sulle reti sociali, visto che ogni altra forma di protesta non e’ consentita.

Nei giorni scorsi due giornaliste, Saeedeh Shafie e Nasim Soltanbeighi, sono stata condannate, in due processi separati, ognuna a 4 anni e 3 mesi di carcere, due anni di divieto di viaggi all’estero e 24 mesi di  divieto di ogni attivita’ sui reti sociali. Le due giornaliste sono state accusate di “pubblicazione di notizie tendenziose” ed “attivita’ lesive della sicurezza nazionale”

Contemporaneamente, Behrouz Behzadi,l direttore del quotidiano Etemad, e’ stato condannato a 6 mesi di reclusione per aver pubblicato una intervista a Dariush Farhoud, il padre della genetica iraniana, il quale raccontava del suo arresto illegale da parte delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran). Un’altra giornalista, Marzieh Mohammadi, caporedattrice di Tejarat News, e’ stata condannata ad un anno di carcere.

A poche settimane dell’anniversario dell’uccisione di Mahsa – Jina Amini, lo scorso 16 settembre, che ha dato vita alla rivoluzione Donne – Vita – Liberta’, si attendono le sentenze di altri due processi contro le due giornaliste Niloufar Hamedi e Elahe Mohammadi, in carcere dallo scorso mese di settembre. Niloufar Hamedi, redattrice del quotidiano Shargh, fu la prima di dare la notizia della morte di Mahsa – Jina Amini. Elahe Mohammadi, giornalista del quotidiano Hammiha invece ha intervistato Amjad Panahi, padre di Mahsa – Jina durante i suoi funerali nel cimitero della citta’ curda di Sagghez.

I due processi si sono svolte dietro alle porte chiuse, e le due giornaliste hanno respinto le accuse a loro rivolte cioe’ “collaborazione con le potenze nemiche”. Niluofar Mohammadi, secondo quanto riferito dal marito, ha dichiarato “sono fiera di aver svolto il mio dovere di giornalista e di aver informato l’opinione pubblica su quando era accaduto”. Massoud Setayeshi, portavoce dell’Autorita’ Giudiziaria, sostiene che Niloufar e Elahe (ambedue soci onorari dell’Articolo21) “non sono state giudicate per i fatti relativi alla morte di Mahsa Amini”. Questo mentre due terzi della requisitoria letta dall’accusa durante i processi alle due giornaliste si riferivano ai loro articoli proprio sulla vicentya dell’uccisione di Mahda – Jina Amini da parte della cosiddetta polizia morale.

In Iran c’e’ grande ansia per le sorti di altra giovane giornalista curda arrestata tre settimane fa per la seconda volta in sei mesi. Nazila Maaroufian una prima volta era stata arrestata in seguito ad una intervista al padre di Mahsa – Jina, ed era stata condannata a 5 anni di carcere, ma rilasciata dietro cauzione.  Uscita dal carcere lo scorsi mese di luglio,, Nazila aveva denunciato su twitter, visto che era stata licenziata dal quotidiano dove lavorava,  le violenze fisiche e le molestie sessuali subite da lei e da altre detenute nella famigerata carcere di Evin. Una denuncia che ha portato a un nuovo arresto e timori che questa giovane giornalista di soli 23 anni, possa subire nuove violenze allo scopo di “pentirsi” e rinnegare le precedenti accuse.

Dall’inizio della rivoluzione Donna – Vita – Liberta’ ad oggi 149  giornalisti sono stati arrestati in Iran. Di questa 31 sono stati condannati a un totale 71 anni e 11 mesi di carcere. Altri sono liberi dietro cauzione in attesa di giudizio ed altri in carcere in attesa si giudizio o per scontare l’ingiusta pena a loro inflitta. “Nella Repubblica Islamica – dice un collega che lavora per un quotidiano di Teheran, di cui non riveliamo il nome per evitare il suo arresto- Il giornalismo e’ una delle professioni piu’ pericolose. Il regime ci vorrebbe tutti impegnati a diffondere solo i comunicati ufficiali e le notizie gia’ redatte da fonti ufficiale e inviate ai media, altrimenti nel migliore dei casi persi il lavoro e se protesti finisci dietro le sbarre. E’ un dato di fatto che ogni anno diverse decine di giornalisti sono costretti a cambiare professione o emigrare all’estero”.


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