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Meloni teme nemici a destra

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Revisionismo missino no o sì. Giorgia Meloni ha davanti il problema di sciogliere tutti i nodi dell’identità politica di Fratelli d’Italia. Ha condannato più volte il fascismo e il neofascismo. In particolare ruppe solennemente i ponti con la dittatura di Benito Mussolini lo scorso anno, prima di vincere trionfalmente le elezioni politiche, prima di diventare presidente del Consiglio.

In un video inviato alla stampa estera assicurò in inglese, francese e spagnolo: la destra italiana da decenni ha condannato «senza ambiguità la soppressione della democrazia e le infami leggi contro gli ebrei». Rilasciò quelle dichiarazioni perché negli Stati Uniti e nei paesi europei erano emersi forti dubbi sulla sincerità democratica di Fratelli d’Italia, il suo partito erede del fascismo tramite il Msi e An.

Convinse le democrazie occidentali mollando, almeno in gran parte, anche il sovranismo. Abbracciò immediatamente un forte atlantismo (sostenendo in particolare l’Ucraina contro l’aggressione della Russia) e un deciso europeismo (come prima mossa accettò l’euro).

La navigazione del primo governo di destra-centro italiano, tra diverse difficoltà, procede abbastanza bene da 10 mesi. I mercati finanziari internazionali trattano bene l’esecutivo Meloni nonostante l’alto debito pubblico italiano: lo spread tra i Btp decennali nazionali e gli analoghi tedeschi veleggia attorno a 160 punti, il livello migliore raggiunto dallo stesso ministero Draghi. Il consenso degli italiani è alto: Fratelli d’Italia continua ad essere il primo partito della Penisola (ha ottenuto il 26% dei voti nelle elezioni politiche del 2022 ed è quasi al 30% nei sondaggi elettorali).

Tuttavia c’è un ma, anzi ci sono parecchi ma sulla sorte del governo Meloni. Dall’interno di Fratelli d’Italia ogni tanto riemergono nostalgie fasciste e neofasciste. La presidente del Consiglio interviene duramente per sanzionare le intemperanze ma alle volte tace. Meloni ha bollato come “una sgrammaticatura istituzionale” le critiche (poi ridimensionate)  del presidente del Senato La Russa all’attentato dei partigiani a via Rasella contro le truppe di occupazione naziste di Roma. Ma ha taciuto sulla richiesta di dimissioni di Marcello De Angelis, avanzata dalle opposizioni, per aver difeso gli ex terroristi neri Fioravanti, Mambro e Ciavardini, condannati in via definitiva per la strage del 1980 alla Stazione di Bologna. Il governatore del Lazio Rocca ha confermato la sua fiducia a De Angelis e il responsabile della Comunicazione della Regione è rimasto al suo posto.

E ancora. Di fatto Meloni ha dato il disco verde all’elezione a presidente della commissione parlamentare Antimafia di Chiara Colosimo, attaccata dalle opposizioni perché vicina alle posizioni dell’ex terrorista nero Ciavardini. Chiara Colosimo, che ha precisato di conoscere Ciavardini ma ha smentito ogni consonanza con le sue posizioni politiche, è stata eletta a presidente dell’Antimafia con i soli voti della maggioranza di destra-centro.

Meloni deve fare i conti con i conati di nostalgie neofasciste. Deve fare i conti anche con il revisionismo missino. Il Msi per anni tentò di rivedere la storia della Resistenza al nazifascismo e della Repubblica Italiana in una chiave di estrema destra. La presidente di Fratelli d’Italia sostenne la svolta di Gianfranco Fini quanto definì il fascismo il male assoluto, ma ha snobbato la sollecitazione dell’ex segretario di An di trasformare il suo partito in una forza antifascista.

Giorgia Meloni non ha fatto fino in fondo i conti con l’identità politica di Fratelli d’Italia. Ha costruito un partito di destra democratica ma ancora non ha tagliato del tutto le radici con il lontano passato. Non è un caso. In politica si può essere sconfitti dagli avversari esterni, dagli alleati di governo, da forze interne allo stesso partito.  Si può essere battuti perfino da ex compagni di partito sul piede di guerra. Di qui la grande cautela alternata alla mano ferma.

Teme una concorrenza a destra. Gianni Alemanno, ex Msi ed ex An, già sindaco di Roma, starebbe lavorando alla fondazione di un nuovo partito di destra che potrebbe debuttare nelle elezioni europee del 2024. Uno dei motti del Pci era “nessun nemico a sinistra”. Meloni non vuole nessun avversario concorrente alla sua destra.


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