Questo è un articolo pensato per analizzare in chiave critica ciò che sta accadendo in RAI e mettere in evidenza ciò che di non proprio edificante potrebbe accadere nei prossimi mesi, fra programmi volti a esaltare la pratica del “fidanzamento in casa”, con tanto di ruolo decisivo dei genitori nella scelta dei pretendenti (questo è l’intento esposto a chiare lettere dalla brochure di presentazione), e un docu-reality, “Il collegio”, che, come riporta il quotidiano Domani, nelle intenzioni del direttore del prime time, Marcello Ciannamea, dovrebbe ambientarsi nel 2001, avendo come tema portante la globalizzazione e il dibattito che vi ruotò attorno in quel periodo. Poiché di Genova e dintorni credo di saperne qualcosa, sono sinceramente curioso per come potrebbe essere affrontato l’argomento.
Mi sia consentito, tuttavia, compiere una piccola ma significativa digressione, riprendendo una denuncia apparsa venerdì 11 agosto su Avvenire ad opera di Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio CEI per le Comunicazioni sociali, il quale si è lamentato per la scarsa copertura mediatica che le varie televisioni italiane hanno garantito alla Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi la settimana scorsa in Portogallo. Il guaio è che il povero Corrado si è risposto da solo, quando ha affermato che “i temi spesso privilegiati” sono “gli scandali o quelli che favoriscono polarizzazioni e contrapposizioni, escludendo per scelta ciò che va contro i cliché”. E ancora: “Se ‘fare’ notizia equivale a ‘fare’ spettacolo diventa facile non solo dare risalto ad alcune informazioni ma anche sottacerne altre”. Infine, citando papa Francesco, il nostro scrive: “La GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi”.
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro, pertanto torniamo alla nouvelle vague del servizio pubblico corredando la riflessione con un excursus storico.
Correva l’anno 2001 e in RAI si respirava già un’aria piuttosto pesante. Avevo appena undici anni, ma me lo ricordo benissimo, dato che i mesi che precedettero le Politiche del 13 maggio furono caratterizzati da polemiche furiose nei confronti dei vari Biagi, Santoro e Luttazzi (non a caso, le vittime più illustri del successivo editto bulgaro), rei di non volersi adeguare allo spirito dei nuovi tempi che stavano sorgendo. Berlusconi non era ancora tornato al governo, ma non ci voleva molto per comprendere l’esito delle imminenti elezioni. Biagi lo disse a Montanelli in una memorabile puntata del Fatto (27 marzo 2001), sostenendo non solo che, in caso di vittoria del leader del Polo, temeva “una dittatura morbida, fondata non sulle quadrate legioni ma sui quadrati bilanci” ma anche che, qualora Berlusconi fosse tornato a Palazzo Chigi, sarebbe stata dura liberarsene. Fatta salva la breve parentesi della litigiosissima Unione prodiana (2006-2008), il Sire di Arcore è durato dieci anni, influenzando poi la politica italiana per i successivi dodici e lasciandoci in eredità il contesto che è sotto gli occhi di chiunque. Ebbene, in quella RAI, il direttore del Tg1 si chiamava Albino Longhi, capace, la sera del 26 luglio 2001, di mandare in onda un filmato straziante in merito ai pestaggi dal sapore cileno verificatisi in Corso Italia, a Genova, durante il corteo internazionale che contestava il G8, contribuendo a modificare, almeno in parte, la percezione dell’opinione pubblica su quanto era avvenuto a margine del vertice. Il direttore di Rai News 24, invece, era Roberto Morrione, e direi che basta il nome. La satira, poi, era ancora piuttosto diffusa: pensiamo, ad esempio, al già menzionato Luttazzi, macchiatosi dell’imperdonabile colpa di aver ospitato a “Satyricon” Marco Travaglio (13 marzo 2001), autore, insieme a Elio Veltri, del saggio “L’odore dei soldi”, dedicato alle discutibili fortune accumulate dal futuro padrone d’Italia, e per questo mai più tornato a far parte del servizio pubblico, neanche quando teoricamente alla guida del paese c’era il centrosinistra. Senza dimenticare la banda di Serena Dandini in quel capolavoro che era “L’ottavo nano”, in cui un Corrado Guzzanti in stato di grazia sfotteva da par suo Rutelli, inchiodando i dirigenti dell’Ulivo alle proprie responsabilità, su tutte la mancata legge sul conflitto d’interessi, e preconizzando da parte loro una futura opposizione inadeguata e timidissima. Proprio come Biagi, anche Guzzanti ha avuto drammaticamente ragione. Il venerdì sera, inoltre, su Raidue, andava in onda “Il raggio verde” di Michele Santoro: un livello di ospiti e di dibattito oggi impensabile, con temi urticanti come i rapporti fra Berlusconi e Dell’Utri e tutto ciò che questo significava e comportava.
Quando la destra tornò al potere “non fece prigionieri”, per utilizzare un’espressione cara ad alcuni suoi esponenti. Biagi, Santoro e Luttazzi, dopo l’editto di Sofia (18 aprile 2002), scomparvero dalla scena. Sabina Guzzanti, dal canto suo, venne cacciata dopo una sola puntata di “RaiOt” (16 novembre 2003). Anche Carlo Freccero e altri ebbero parecchi problemi e i vari telegiornali si riempirono di ricette di cucina e servizi non proprio improntati ai principî dell’obiettività e del pluralismo dell’informazione. La sedicente opposizione, tuttavia, oltre a non battere ciglio o quasi, arrivando addirittura, in alcuni casi, ad approvare pubblicamente la chiusura di “RaiOt”, con la motivazione che quella non fosse satira, non comprese ciò che si stava muovendo nel Paese e, in particolare, all’interno del suo elettorato. Fra i Girotondi e le piazze di Moretti, il “Resistere, resistere, resistere!” di Borrelli in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario (12 gennaio 2002), gli appelli e le battaglie di MicroMega (il Palavobis di Milano riempito il 23 febbraio 2002 in onore del pool di Mani Pulite, a dieci anni dall’avvio dell’inchiesta, ne è l’emblema) e dell’Unità di Colombo e Padellaro, la nascita di Articolo 21 (27 febbraio 2002) e le trasmissioni in proprio della Guzzanti, in grado, dopo la chiusura del programma, di sfruttare al meglio la potenza delle tv locali, che decisero di mandare in onda, in contemporanea, il suo show, coprendo l’intero territorio nazionale, in un clima di crescente insofferenza nei confronti di una sinistra priva di identità e prona di fronte ai dogmi del liberismo, non è stato, dunque, difficile per un comico scaltro come Grillo, per giornalisti furbi e capaci come Padellaro e Travaglio e per milioni di cittadine e cittadini rimasti senza una casa politica ed editoriale dar vita a un partito, a un giornale, a una casa editrice, a un polo televisivo autonomo e a tutto che ha contribuito in maniera decisiva a tenere a galla la nostra democrazia negli anni del berlusconismo arrembante e dei suoi epigoni. Tutto questo per dire che neanche una Nazione in ginocchio come la nostra, con un’opinione pubblica mitridatizzata e priva ormai di rappresentanza praticamente a ogni livello, può sopportare il vuoto. E allora, ci permettiamo di fornire un consiglio alla presidente Meloni: stia attenta. Di un’opposizione, infatti, ne ha bisogno come l’aria. E se non permette a nessuno di dissentire sui canali ufficiali, sappia che la dissidenza si trasferirà altrove, con tutti i mezzi che le nuove tecnologie mettono oggi a disposizione. E sarà vivace, pacifica, ricca di idee, proposte e innovazioni, ispirandosi al noto adagio secondo cui “la sagacia è la virtù degli infelici”.
Un’opposizione c’è sempre stata e sempre ci sarà, persino nei regimi sudamericani, figurarsi in un Paese come il nostro, al netto dei suoi innumerevoli difetti. E pertanto, è meglio evitare di eccedere nell’occupazione del servizio pubblico: oltre a rivelarsi controproducente in termini di ascolti, difatti, rischia anche di non sortire alcun effetto positivo sul piano elettorale, poiché il troppo stroppia sempre e la reazione delle masse, il più delle volte, non coincide con i desiderata di chi è al potere.
Concludo con una piccola nota personale, rispondendo così all’allarme che non da oggi lancia su queste colonne Barbara Scaramucci: nel 2010, stufo del Tg1 di Minzolini, girai su La7. Non sono mai tornato indietro. Ecco, questo è il rischio enorme che corre la più grande azienda culturale del Paese: perdere il proprio pubblico e non riuscire a riconquistarlo. Sarebbe una tragedia da scongiurare a ogni costo.
P.S. Un abbraccio di cuore alla famiglia di Riccardo Laganà, membro del CDA RAI scelto dai dipendenti dell’azienda. Con la sua scomparsa, abbiamo perso un amico, un punto di riferimento ma, soprattutto, una personalità che credeva davvero nel ruolo del servizio pubblico, indispensabile per la crescita culturale e civile del Paese.
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