La mattina del 2 agosto, nella parte finale di Radio anch’io, Radio 1, uno degli ospiti della trasmissione, del quale non sono riuscito a cogliere il nome, interviene sul tema ‘La strage di Bologna 43 anni dopo’. Voce pacata, professionale, l’ascolto con interesse. Poi, lascio perdere la forma e mi concentro sui contenuti. Tre punti. Il primo: difficile creare un legame tra i condannati in via definitiva e gli altri in primo grado perché ‘non si conoscevano fra loro’. Bisogna attendere quindi il verdetto giudiziario e, ancor di più, la ricostruzione storica (scritta da lui stesso?). Secondo: dalle carte desecretate dai documenti riservati, emergerebbe una pista palestinese. Terzo: nel 1980 era già cominciato il calo di consensi per la sinistra, quindi quale sarebbe stato il movente? Mai usata la parola strage neofascista. Il terzo punto buttato lì, senza dirlo ma indurre l’idea, per contestare l’individuazione dei responsabili fatta dai magistrati giudicanti di tutti i livelli. Il negazionismo ragionato, contro quello urlato o fatto intuire dal non detto, come il generico termine ‘terrorismo’ usato dalla presidente del Consiglio e da alcuni dei suoi ministri. Ben altra cosa il linguaggio del Presidente Mattarella, che è ormai diventato il baluardo più forte contro la deriva da regime che sta prendendo l’Italia. Senza mezzi termini, senza incertezze o allusioni, definisce ‘neofascista’ l’infame strage che causò 85 morti e 216 feriti. Nettezza nel parlato anche alla Cerimonia del Ventaglio. Lì Mattarella non solo aveva ribadito il ruolo determinante per la democrazia svolto dalla stampa libera, ma ha voluto mettere in guardia dal rischio che in Parlamento si convochino iniziative per il controllo dell’operato di precedenti governi o della magistratura. Chiaro riferimento alla volontà della maggioranza, con il beneplacito di Renzi, di nominare commissioni di inchiesta sul Covid, sulla strage di Bologna o addirittura su Ustica. Gasparri nelle settimane precedenti aveva rimesso in dubbio le conclusioni sull’abbattimento dell’aereo Itavia del giugno ‘80. Non solo. Il Presidente aveva anche insistito sulla necessità che l’informazione si occupi con grande attenzione dell’emergenza climatica. Anche questo tema oggetto di negazionismo della destra, come avvenuto nella trasmissione Mediaset condotta dal ‘principe consorte’ Giambruno che aveva tolto la parola a una sua inviata che stava descrivendo i disastri causati nel milanese e in altre regioni dalle follie del tempo con trombe d’aria, grandinate, alluvioni fuori stagione. Nessuno emergenza, tutto nella norma, come sostenuto da ospiti in studio. Ma davvero può bastare che noi alziamo la voce o che ringraziamo con tutto il cuore il Presidente per l’impegno con cui sta garantendo la nostra democrazia. Se non si attiverà una forte opposizione sociale e politica, chi fermerà la lenta ma continua e costante costruzione di una nuova forma di autoritarismo? Pensiamo all’uso padronale delle scelte e delle nomine fin qui operate dal governo e che non hanno suscitato particolari reazioni indignate. Penso ad esempio alla Rai. Professionalità calpestate, scelte fatte solo in nome della fedeltà d’appartenenza, scavalcamenti ingiuriosi. Altro che lottizzazione! Eppure, allora, c’erano reazioni, dimissioni, scioperi, documenti di protesta. Oggi, tutti allineati e coperti. Certo il coraggio è merce sempre più rara, ma perché questi colleghi dovrebbero esporsi quando il Paese sembra rassegnato, diserta gli appuntamenti elettorali, sembra aver accettato la logica della delega piuttosto che la presenza e la partecipazione. Quanta responsabilità, in questo, hanno i partiti democratici? Quando mai avremmo immaginato, noi democratici convinti, che l’Italia nata dalla Resistenza si sarebbe consegnata nelle mani dell’estrema destra? Non c’è mai nulla d’acquisito definitivamente nella vita, figuriamoci la libertà, la democrazia, il confronto. E quando mai avremmo potuto pensare che un ministro avrebbe chiesto ed ottenuto senza difficoltà la cacciata dalla Rai di un giornalista, per di più impegnato in prima persona, a rischio della vita, contro la malavita? Eppure è successo, anche con silenzi omertosi e compiacenti o addirittura con condivisione. Così come è successo che una ministra, in barba a tutto quello che ha combinato rimanga al suo posto con tanto di plebiscito della sua parte politica. Serietà? E allora propongo un confronto. Negli Stati Uniti uno studente universitario 17enne, Theo Baker, figlio di due notissimi giornalisti newyorkesi, pubblica sul giornalino universitario, dopo essersi consultato con i genitori che lo incoraggiano a farlo, un articolo in cui dimostra che il rettore della sua stessa Università Stanford ha preso solenni cantonate in varie ricerche pubblicate. La vicenda si chiude con le dimissioni del rettore, Marc Tessier-Lavigne. Come avranno letto in quella Università, la vicenda Santanché? Ma per chiudere, ritorno sula vicenda Saviano. Le centinaia di migliaia di firme a suo sostegno raccolte a partire dall’iniziativa di Articolo 21, alimentano la speranza che il Paese non sia definitivamente anestetizzato o rassegnato. Oltre alle tante firme, l’emblema rimane il Presidente Mattarella. Ma non può e non deve restare isolato. L’appello che Articolo 21 con il suo coordinatore Giulietti rivolge alle forze sociali e politiche perché si siano segnali di reazione diventa sempre più urgente perché la propaganda non potrà continuare a nascondere la povertà crescente, il disagio sociale, l’attenzione rivolta solo alla tutela dei ricchi e degli evasori. Non è questa l’Italia progettata, disegnata e trasformata in istituzione dai padri e dalle madri costituenti.
(Nella foto un’immagine della strage di Bologna)