La Siria di Assad è il cimitero della legalità internazionale

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Il primo settembre del 2013 Papa Francesco espresse una certezza che a tutt’oggi risulta non fondata, questa: “ Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato. Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire!”

Dieci anni dopo possiamo dire che non solo Bashar al Assad è  sfuggito al giudizio della storia, ma anche che le immagini del massacro chimico della Ghouta sembrano proprio uscite dalla mente e dai cuori di quasi tutto il mondo. Era il 21 agosto 2013 quando il presidente siriano – di tutta evidenza- ordì e ordinò il suo attacco chimico per poi negare per cinque giorni agli ispettori internazionali accesso ai luoghi del massacro, giorni nei quali  tanti fiancheggiatori, anche tra gli ecclesiastici, affermarono  che erano stati i ribelli stessi a compiere quel massacro (con armi che non avevano) per incolparne lui ( che quelle armi le aveva). Tutto queste aiutò Obama a fermare l’azione militare con cui avrebbe potuto colpire le piste con cui Assad bombardava il suo popolo. Tutto sommato era stato proprio Barack Obama a dire che un attacco chimico contro i civili non sarebbe stato tollerato. E invece lo fu. Come mai? La risposta che emerge dopo dieci anni è abbastanza semplice: tutti sapevano che la Siria aveva un gigantesco arsenale chimico sebbene lo negasse. Ora, se il regime fosse caduto, quelle armi in che mani sarebbero cadute? Gruppi estremisti emersi già allora grazie alla resistenza di Barack Obama ad armare l’Esercito Libero Siriano, unica possibilità di trattenere su un binario di resistenza civile la popolazione siriana davanti ai massacri indiscriminati del regime contestato, avrebbero potuto prendere il controllo di quelle armi chimiche? Così l’uso delle armi chimiche contro anziani, donne e bambini si dimostrò un’operazione vincente per il regime. Con l’aiuto della Russia riconobbe di avere le armi chimiche che aveva sempre negato di avere, promise di consegnarle (quasi) tutte all’ONU per farle distruggere e potè continuare a massacrare i siriani con altri armamenti.

Nel 2015 il vuoto lasciato dal mancato intervento americano a difesa del popolo siriano fu colmato dall’intervento russo a difesa del regime, intervento benedetto da numerosi patriarchi siriani, che oggi guidano comunità estinte in patria e delle quali nessuno dei tanti esuli pensa a rientrare in patria,  dove Assad assicura solo arbitrio e miseria. Inoltre Assad viene riammesso nella Lega Araba sebbene sia accusato nei tribunali di mezzo mondo di crimini contro l’umanità e questo metta in crisi l’insieme del sistema sanzionatorio internazionale che regola il sistema internazionale dell’ONU dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Se Assad torna ad essere un interlocutore, al punto che molti chiedono di rimuovere addirittura le sanzioni ad personam che colpiscono lui e la sua cricca di criminali conclamati, il sistema sanzionatorio perde ogni credibilità. Le condizioni che gli arabi avevano ritenuto di aver imposto al Presidente siriano per il suo ritorno nella Lega Araba sono cadute nel nulla: il regime non consente il rientro in sicurezza di nessuno dei quasi dieci milioni di siriani deportati all’estero o costretti come profughi interni ai confini della Siria, nel deserto. Chi lo fa finisce orrendamente torturato, come è accaduto a un profugo interno che ha creduto al regime ed è tornato ad Aleppo. Il suo cadavere è stato riconsegnato a inizio agosto alla moglie, con questo messaggio trasmesso a voce da un agente alla vedova: “ lei è fortunata, avrà un luogo dove piangere su marito”. Agli altri parenti degli oltre 100mila scomparsi nel buio siriano da anni questo privilegio non è accordato. Inoltre Assad continua a invadere il Medio Oriente con la droga sintetica, il captagon, che viene prodotta con profitti miliardari dal reggimento di suo fratello Maher. La promessa di bloccare la produzione lui dice di non averla mai fatta, in una recente intervista ha negato di sapere cosa sia il captagon.

La Siria di Assad è il cimitero della legalità internazionale, con tutto ciò ce ne segue.


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