Con il termine di gestazione per altri (GPA) o, come viene definita da alcuni con palese disprezzo, gravidanza surrogata* o, ancora peggio, utero in affitto, s’intende quell’atto con cui una donna mette a disposizione il proprio utero per portare avanti una gravidanza desiderata da chi, per oggettivi impedimenti, non è in grado di farlo. Si tratta di una forma di riproduzione assistita che nel più dei casi inizia con la fecondazione di un ovocita proveniente da una donna con ovaie normali, ma un utero malformato, rudimentale, iposviluppato, o addirittura assente. In alcuni casi l’utero era normalmente presente, ma è stato successivamente rimosso chirurgicamente a causa di un tumore o di una irrefrenabile emorragia.
Ad oggi la GPA è illegale solo se praticata in Italia, mentre le coppie Italiane possono recarsi all’estero, nei paesi in cui è consentita, per realizzare l’ambìto sogno di genitorialità. In alcuni Paesi europei (Grecia, Portogallo, Cipro, Regno Unito) la GPA è ammessa solo nella forma solidale e cioè senza una contropartita economica, in altri, invece è previsto un ristoro economico per quelle donne che decidono di rendere disponibile il proprio grembo ad una coppia che desidera un bambino, ma non può averlo. Attualmente è possibile ricorrere alla GPA in 65 stati tra cui gli USA, Canada, Messico, Russia, Thailandia, India, Ucraina, parte dell’Africa, del Sud America e in tutta l’Oceania.
Con il recente sì della Camera ad una proposta di legge (Atto Camera 887 – approvato il 26/7/2023) che rende la stessa un reato universale e cioè anche se praticata all’estero, è stato compiuto il primo passo per l’approvazione di una legge che prevede pene severissime che vanno dalla reclusione (da 3 mesi a 2 anni) e una multa da 600.000 a un milione di euro per chi si macchiasse di tale reato universale.
Qualora il Senato confermasse il testo approvato alla Camera non sarebbe più possibile per le donne italiane poter accedere a questa forma di maternità recandosi all’estero, e verrebbe violato quel principio europeo secondo il quale a tutti i cittadini europei devono essere garantiti eguali diritti.
La ragione “etica” o “morale” addotta dal governo per giustificare una tale severa norma risiederebbe nell’impedire la mercificazione del corpo, una sorta di prostituzione non sessuale secondo il legislatore attuale.
Eppure, un gesto analogo, viene compiuto da chi mette a disposizione un proprio rene, parte del proprio fegato, oppure un congruo numero di ovociti a chi non ne produce più per sopraggiunti limiti di età o a causa di una menopausa precoce o di una malattia genetica. Un gesto compassionevole, insomma.
E allora, c’è da chiedersi, cosa sia veramente etico, giudicare come viene al mondo un bambino e cioè attraverso quali modalità, naturali, in vitro, da gameti omologhi o eterologhi (termine spregevole ed improprio in quanto riferito a cellule provenienti da altre specie animali) nel proprio grembo o in quello di altre – se impossibilitate – oppure l’assunzione di responsabilità nell’interesse del neonato?
E se esistono delle condizioni sociali drammatiche tali da indurre alcune donne a rendersi disponibili a portare avanti una gravidanza per altre, in cambio di un compenso, cos’è da condannare, quel gesto oppure quello Stato che ha reso possibile tanta miseria?
Ancora una volta, lo Stato etico, come accadde nella discussione parlamentare sul testamento biologico (Governo Berlusconi lV, 2008-2011), vuole appropriarsi dei nostri corpi, decidendo per noi. Allora sulle cure mediche ad oltranza su di un corpo che non sarebbe (per loro) un bene disponibile, ma un dono divino, oggi avanzando diritti sul grembo delle donne.
Eppure esistono numerosi esempi in cui la donna non è in condizioni di affrontare una gravidanza: da alcune sindromi genetiche nelle quali l’utero è assente (ma non le ovaie), all’isterectomia a seguito di patologie tumorali, all’impossibilità di portare avanti una gravidanza per ragioni di salute, all’abortività ricorrente, ai ripetuti fallimenti d’impianto dopo fecondazione in vitro.
E non è possibile neanche non riconoscere che esistono due tipi di gravidanza per altri, una solidale ed un’altra, per così dire, commerciale. Impedirle entrambe tout-court mi sembra un approccio sbrigativo e proibizionistico del legislatore.
E’ evidente, che tra gli obiettivi della nuova legge, c’è la volontà di impedire l’omogenitorialità, oltre alla mercificazione del corpo. Ma questo è un altro aspetto che la GPA potrebbe comportare anche se in casi molto minori, poiché vi fanno ricorso prevalentemente le coppie tradizionali e in questi casi può trattarsi sì di una vendita, ma in altri di un nobile gesto, di un vero e proprio dono cioè di una scelta compassionevole che come tale non dovrebbe essere soggetta ad alcuna critica.
Il problema è quindi ampio ed andrebbe regolamentato, così come nel caso delle adozioni e della fecondazione “eterologa”, soprattutto per impedire sfruttamenti e stabilire, quindi, precise indicazioni volte ad impedire l’accesso alla tecnica a chi vuole evitare la gravidanza per ragioni estetiche o per non abbandonare il lavoro.
C’è poi da considerare in questa proposta di legge l’aspetto giuridico che rende la nuova norma inapplicabile in quanto un reato, per essere universale, deve essere perseguibile anche negli stati in cui viene commesso. E’ necessario, quindi, che sussista il principio della doppia incriminazione così come per altri reati: la pedofilia, il terrorismo, il genocidio, i crimini contro l’umanità. Sarebbe questo il primo caso in cui un cittadino italiano verrebbe incriminato per aver commesso il fatto in uno stato in cui quell’azione è consentita dalla legge. Inoltre, non si potrebbe procedere alla sua estradizione, come sancito dall’art. 13 del c.p.p. poiché il fatto per cui è prevista deve rappresentare un reato sia dalla legge italiana che da quella straniera.
Inoltre, l’art. 9 del codice penale italiano riguardante il delitto comune commesso all’estero da un cittadino italiano prevede che quest’ultimo sia perseguibile dallo Stato italiano solo quando la pena prevista dalla legge italiana vada dall’ergastolo ad una reclusione nel minimo non inferiore ai tre anni. Il testo di legge approvato alla Camera prevede, invece, una pena da tre mesi a due anni di reclusione. Il reato, insomma, non sarebbe perseguibile, così come già stabilito dalla Cassazione Sez. Vl, n.31409 del 13/10/2020 secondo cui non è reato la trascrizione in Italia dell’atto di nascita neppure nel caso in cui la procreazione sia avvenuta all’estero con modalità non consentite in Italia.
In definitiva l’Atto Camera n. 887 “Modifica all’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano” è sostanzialmente uno slogan politico, una norma-manifesto che in maniera surrettizia e cioè attraverso una pseudo-difesa della dignità della donna ha come vero obiettivo l’intimidazione delle coppie eterosessuali ed omosessuali che volessero far ricorso alla GPA all’estero in quanto al rientro in Italia si autodenuncerebbero all’ufficio anagrafe e dovrebbero ricorrere ad un avvocato di fiducia iniziando un iter legale oneroso e per niente semplice. Una norma liberticida che viola l’autodeterminazione delle donne e che impedisce di fatto un nuovo percorso di regolamentazione della GPA in difesa dei bambini che vengono al mondo con tale tecnica, dando loro una tutela giuridica.
Una norma sovranista che sancisce il primato del diritto nazionale su quello europeo ed internazionale. Un atto gravissimo contro la donna, le coppie, la comunità europea e quella internazionale.
Tuttavia, una regolamentazione è più che necessaria. Una regolamentazione che distingua, consentendolo, un gesto solidale e compassionevole da quello commerciale, al di là di dove venga eseguita la tecnica impedendo lo sfruttamento riproduttivo delle donne, la mercificazione dei bambini, i ripensamenti nel caso della nascita di creature malformate, le mancate consegne del neonato, i ricatti economici ed altro.
Circa l’accesso alla tecnica, a mio avviso, non dovrebbe essere liberalizzato, ma sottoposto al giudizio di un comitato scientifico ministeriale – così come accade in Israele – che verifichi la reale necessità per chi ne fa ricorso, stabilendo i criteri di accessibilità per le coppie, così come avviene per la Legge 40/2004 e garantendo l’anonimato per la donatrice/ricevente e il diritto alla privacy per l’intera procedura.
* La definizione medica di gravidanza fa riferimento a quella condizione della donna, e in genere delle femmine dei mammiferi, che comprende il periodo che va dal concepimento al parto.
Il termine “surrogato” secondo il vocabolario Treccani si riferisce ad un “prodotto analogo, spesso di qualità inferiore”. Ecco perché questi due termini non dovrebbero mai essere associati tra loro: non esistono le gravidanze di serie B. Hanno tutte pari dignità.
Antonio Palagiano – docente di Ginecologia – Deputato della XVl Legislatura e già Presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi regionali